TREBBIATURA ALLA BERRIA - MARIO FERRERO, RE DEI PAJARIN
“La prima cosa era il piazzamento: si arrivava con la macchina trainata dai buoi e bisognava metterla perfettamente in bolla” dice Mario Ferrero, “pajarin” per 43 anni, mentre gli brillano ancora gli occhi e mi ricorda di essere stato citato nel libro di Maria Barbero: " Il giorno che un bue tirò più di cinquanta cavalli", parlandone orgoglioso.
“I pajarìn fornivano il trattore, la trebbia e la pressa mentre i clienti si indaffaravano a caricare i covoni dalle "burle" o dai carri sulla macchina. Prima ancora dei trattori monocilindrici testacada usavamo dei motori a vapore, molto pesanti e la caldaia veniva alimentata a legna cosicchè i clienti dovevano preparare dei mucchi di ciocchi di legno molto piccoli. Quando arrivarono i primi "testacada" le cose cambiarono: aumentò il rumore ed il fumo! Il "testacada" era un trattore che valeva poco per la trazione ma straordinario per far girare qualsiasi cosa, per ore ed ore ininterrottamente. Si teneva acceso tutto il giorno, anche perché per farlo ripartire bisognava, per l’appunto riscaldargli la testata, non certo d’estate ma d’inverno era un problema! “
Mario oggi è una figura minuta ma di una vivacità contagiosa: è facile immaginarlo quarant’anni fa con un fisico asciutto e muscoloso, tutto nervi, come tanti di quelli che si aggirano oggi qui alla Berria di Borgomale/Benevello , sotto la rocca Cruera dove, poco a monte, il Riàn der Vurp si getta nella Berria.
Mario Ferrero non manca mai a queste manifestazioni: incontra gli amici, osserva, controlla, dà consigli e si aggira soddisfatto respirando la pula, come ai vecchi tempi.
E’ una “due giorni e una notte” di festa della trebbiatura qui: una baraonda operosa, allegra e fantasiosa a cui tutti partecipano: anziani, giovani, adulti, donne e bambini, perfino i cani vorrebbero pertecipare, almeno alla spartizione del salame.
Senza una regia apparente ma incredibilmente senza tempi morti si alternano i vari carri carichi di grano, farro, orzo e nel mentre cambiano i caricatori, i "pajarin" sostituiscono i crivelli della trebbia a seconda del cereale regolando perfettamente in tiro la lunga cinghia di trasmissione del "testacada".
La macchina in funzione, nei suoi tre componenti, pompa, sbuffa, ansima in un rumore e polverone terribili: pare un mostro preistorico, o un diavolo di Brueghel, che si divora il frumento di fianco, espelle i chicchi davanti e i balòt da dietro, circondato però da una banda di esserini operosi e divertiti.
Alla fine, caricati i sacchi colmi di grano sul "tamagnùn" da una parte ed i "balòt" di paglia dall’altra, si procede alla "ribota" mangereccia: pane, toma, salami, costine, salsiccia e vino a profusione, dal mattino a notte fonda…
“Questo era un problema!” - mi racconta Mario Ferrero – perché per tre mesi non dormivamo mai, si partiva al mattino presto, poi pausa con pranzo abbondante e ribota finale fino a tarda notte. Tanto mangiare, esagerato rispetto alla fatica vera, ma pochissimo dormire. Ci fermavamo a dormire nel fienile: sèmpe an ta pùe! E nessuna doccia oltre tutto, màc na sigilinà d’èva a còl, mica tant”.
Mario se la ride, scrolla la testa e strizza gli occhi mentre un carico di covoni con più cardoni che grano fa troppa polvere disperdendo i semi paracadute come se nevicasse.
GIAMPIERO MURIALDO
“I pajarìn fornivano il trattore, la trebbia e la pressa mentre i clienti si indaffaravano a caricare i covoni dalle "burle" o dai carri sulla macchina. Prima ancora dei trattori monocilindrici testacada usavamo dei motori a vapore, molto pesanti e la caldaia veniva alimentata a legna cosicchè i clienti dovevano preparare dei mucchi di ciocchi di legno molto piccoli. Quando arrivarono i primi "testacada" le cose cambiarono: aumentò il rumore ed il fumo! Il "testacada" era un trattore che valeva poco per la trazione ma straordinario per far girare qualsiasi cosa, per ore ed ore ininterrottamente. Si teneva acceso tutto il giorno, anche perché per farlo ripartire bisognava, per l’appunto riscaldargli la testata, non certo d’estate ma d’inverno era un problema! “
Mario oggi è una figura minuta ma di una vivacità contagiosa: è facile immaginarlo quarant’anni fa con un fisico asciutto e muscoloso, tutto nervi, come tanti di quelli che si aggirano oggi qui alla Berria di Borgomale/Benevello , sotto la rocca Cruera dove, poco a monte, il Riàn der Vurp si getta nella Berria.
Mario Ferrero non manca mai a queste manifestazioni: incontra gli amici, osserva, controlla, dà consigli e si aggira soddisfatto respirando la pula, come ai vecchi tempi.
E’ una “due giorni e una notte” di festa della trebbiatura qui: una baraonda operosa, allegra e fantasiosa a cui tutti partecipano: anziani, giovani, adulti, donne e bambini, perfino i cani vorrebbero pertecipare, almeno alla spartizione del salame.
Senza una regia apparente ma incredibilmente senza tempi morti si alternano i vari carri carichi di grano, farro, orzo e nel mentre cambiano i caricatori, i "pajarin" sostituiscono i crivelli della trebbia a seconda del cereale regolando perfettamente in tiro la lunga cinghia di trasmissione del "testacada".
La macchina in funzione, nei suoi tre componenti, pompa, sbuffa, ansima in un rumore e polverone terribili: pare un mostro preistorico, o un diavolo di Brueghel, che si divora il frumento di fianco, espelle i chicchi davanti e i balòt da dietro, circondato però da una banda di esserini operosi e divertiti.
Alla fine, caricati i sacchi colmi di grano sul "tamagnùn" da una parte ed i "balòt" di paglia dall’altra, si procede alla "ribota" mangereccia: pane, toma, salami, costine, salsiccia e vino a profusione, dal mattino a notte fonda…
“Questo era un problema!” - mi racconta Mario Ferrero – perché per tre mesi non dormivamo mai, si partiva al mattino presto, poi pausa con pranzo abbondante e ribota finale fino a tarda notte. Tanto mangiare, esagerato rispetto alla fatica vera, ma pochissimo dormire. Ci fermavamo a dormire nel fienile: sèmpe an ta pùe! E nessuna doccia oltre tutto, màc na sigilinà d’èva a còl, mica tant”.
Mario se la ride, scrolla la testa e strizza gli occhi mentre un carico di covoni con più cardoni che grano fa troppa polvere disperdendo i semi paracadute come se nevicasse.
GIAMPIERO MURIALDO