Nòtu ‘d Tumà (1914-1985)
La storia che mi metto in cammino a contarvi è piuttosto ingavergnata[1] e riguarda un personaggio tutto foravìa[2]. Stò parlando di Nòtu ‘d Tumà che io ho avuto il bonheur di frequentare perché gli sono entrato nelle sue grazie.
Dico questo perché Nòtu era piuttosto selvatico e misterioso, che prima di lasciarsi andare con qualcuno ci passavano sopra dei giòbia[3] e poi non bastava ancora, toccava essergli proprio in mira.
Lui viveva solo, dopo la morte di sua mamma, in una casa vecchia, puntellata con dei parucchi[4] di gaggia. A forza di fargliela andare, tra i suoi nipoti e sua sorella l’ha poi rifatta, però uguale, precisa a com’era prima. Questa casa, nell’era[5] e nello sverso[6] che guarda Diano, sopra un rivasso aveva ed ha ancora oggi una rovere (ro) secolare che era ed è tuttora un monumento nazionale. Molti vanno a vederla ancora oggi: siamo al Cappelletto sopra e a dx dello stradone verso Treiso.
Nòtu ‘d Tumà era una testa tutta speciale, ingavergnata, piena di scienza e di sapere, difatti sapeva tutto: dalla filosofia, alla storia, alla politica, alle masche, alle bestie, alle piante di ogni sorte. Mi ricordo come fosse adesso che intorno al 1960 mi aveva detto:” vedrai, io non ci sarò più, però intorno al 2000, la bandiera gialla svanterà[7] sul Mondo intero”. Difatti, siamo a quella mira lì: vedi la Cina, il Giappone a che punto sono arrivati!...
Un altro ragionamento che mi ha fatto Nòtu e che allora mi ha stupito è stato quello del pensiero umano o se vogliamo capirci meglio, il sentimento, l’anima, la telepatia che collega le persone tra loro anche se non vicine. La sua idea era: il pensiero umano domina il mondo. Come dire che i pensieri buoni, gioiosi, positivi fanno girare bene il mondo; i pensieri di gramissia, maligni, negativi fanno andare il mondo alle gambe drice[8]. Dunque essi sono la rovina del mondo.
Sovente, guardandomi intorno, tra me e me mi dico: per forza che non gira bene, oggi contano solo più i soldi, e non andare a vedere come hai fatto a farteli. Veleni, inquinamenti, sboscamenti, capannoni e palazzi, automobili di lusso, case suvagnate[9], giornali e televisione non ti permettono più di pensare. Solo che scuratti[10] con le bave alla bocca, solo che ammucchi della roba e che fai vedere al mondo che non trambli[11], che sei in gamba: conta solo più la blaga[12].
I pochi che usano la cognizione sono dei beté[13].
Mi ricordo anche che al sabato partiva a piedi da Tumà, prendeva la scursa[14] che calava giù sullo stradone e sgambassava[15] fino ad Alba. Guai a caricarlo: allora al massimo si viaggiava in Lambretta, le prime macchine, lassù sono arrivate dal 1960 in là e le possedevano pochi particolari[16]. Le prime erano Balille tagliate a camioncino.
[1] Ingavergnata = aggrovigliata piemont = angavergnà
[2] Foravìa = strano, eccezionale piemont = foȓavìa
[3] Giòbia = ci andava del tempo piemont = giòbia
[4] Parucchi = pali piemont = paȓoch
[5] Nell’era = nell’aia piemont = eȓa
[6] Sverso = versante piemont = svers
[7] Svanterà = sventolerà piemont = svantëȓà
[8] Drice = per aria piemont = drice
[9] Suvagnate = eleganti piemont = sovagnà
[10] Scuratare = rincorrere, scorazzare piemont = scoraté
[11] Non tramblare = vacillare, tribulare piemont = tramblé
[12] Blaga = vanteria, esibizione piemont = blàga
[13] Beté = ebete piemont = beté
[14] Scursa = scociatoia piemont = scursa
[15] Sgambassare =camminare a lungo e con fatica piemont = sgambassà
[16] Particolare = proprietario di cascina piemont = particolaȓ
Lui aveva sempre un sacco vuoto da grano in spalla, finito il mercato se ne tornava a casa, da solo, mai in compagnia di nessuno, con il sacco pieno di giornali vecchi, qualche libro e poche commissioni per la settimana. Sicuramente voleva che nessuno ficcasse il naso nelle sue faccende. Persino andare a casa da Messa non si accompagnava con nessuno: il prete non aveva ancora finito Messa che lui era già sparito. Era molto discreto e timido, sicuramente sintonizzato su un altro sistema. Non ultimo l’accondiscendenza dalla madre e la sua sensibilità di assisterla e aiutarla.
Quante cose ho imparato da lui!... mi aveva proprio preso in grazia!
In quella maniera li, con tutti questi giornali e libri, lui era diventato un pozzo di scienza e sapeva tutte le nuove[1] del mondo: dalla politica, alla cronaca, alla cultura. In soprappiù aveva anche libri che parlavano di magìa.
Sull’argomento delle masche la sapeva lunga. Mi ricordo che mi contava dello sdoppiamento dell’anima dal corpo, che bisognava fare bene attenzione mantenendo la carcassa (corpo fisico) immobile altrimenti queste due entità non si trovavano più al momento che l’anima rientrava a casa per congiungersi al corpo. Allora non c’era niente fa fare, toccava tirare i calci[2]. Mi raccontava che l’anima, lo spirito, andava a curiosare nelle case dei dintorni sensa che nessuno se ne accorgesse. Si notava soltanto la forma di un lumicino che correva di notte nelle caussàgne[3] dei filari.
Questo mi faceva cabalizzare parecchio e mi metteva dei dubbi se crederci o non crederci. Se le avessi sentite raccontare da ragazzo sicuramente mi avrebbero messo addosso una paura dell’accidenti. Poi erano, parliamo degli anni 1948-50, storie che in quei tempi là le sentivi, un po’ più un po’ meno contare nelle vijà[4] dentro le stalle. Chi era di noi campagnini[5] che non aveva sentito parlare di masche!?...
Io penso che l’istruzione fosse la forza di Nòtu ‘d Tumà. A me ha regalato un libro sulla magìa delle erbe: un testo anonimo del ‘500, edizioni Mediterranee-Roma. Mi ha anche raccontato la leggenda della “Mandragora” che non doveva essere estratta dall’uomo se nò moriva. Avendo questo fiore le radici a forma d’uomo (antropomorfe), prima veniva scalzata dall’uomo medesimo poi legata al collo di un cane affinchè la estraesse lui (Genesi XXX 14-20: fecondità di Rachele).
Sono sempre più convinto che Nòto fosse una testa particolare, fine, uno che ne sapesse tanto e di tutto. Ho proprio avuto bonheur a essergli diventato amico. Se acchiappiamo l’argomento delle masche, lui non si limitava a quintare[6] e ripetere ciò che aveva sentito dagli altri ma si documentava sui libri poi le cose le capiva al volo. Su questo tema un altro fenomeno era Gepo del Brich che era anche lui suo amico in più era un vicino di casa.
Credo che in quei tempi là, siamo nel dopoguerra, dove regnava un’ignoranza bandata[7] e la gente era abituata agli sbaruvi[8], chi era istruito lo guardavano come se fosse una bestia rara. Correva anche la voce sopra qualche parroco di campagna che aveva il dun[9] di fare apsantare[10] i ratti, le formiche rosse, i calabroni del culo giallo, e di tenere lontano la disturna[11] della tempesta e altri sagrin che tormentavano sta buona gente di campagna. Difatti in quei tempi là c’erano le rogazioni e portavano anche la Madonna Pellegrina in processione a cavallo di queste colline di Langa.
[1] Nuove = novità, notizia piemont = neuva
[2] Tirare i calci = morire, lasciarci la ghirba piemont = tiȓé ij cáuss
[3] Caussàgne = capezzagne piemont = caussàgne
[4] Vijà = veglie contadine socializzanti piemont = vijà
[5] Campagnino = contadino di Langa piemont = campagnin
[6] Quintare = raccontare piemont = quinté
[7] Bandata = tesa, tirata, zeppa piemont = bandà
[8] Sbaruvi = spaventi, anscie piemont = sbaruv
[9] Dun = dono, inclinazione nel riuscire piemont = don
[10] Apsantare = far sparire, eliminare piemont = apsanté, psanté
[11] Disturna = disgrazia, grande danno piemont = dëstorna
Nòtu ‘d Tumà è morto a metà giugno dell’85 a 71 anni, troppo presto!... Era la mira delle ciliegie e lo ha trovato suo nipote Pierluigi. Praticamente ha acchiappato un colpo, quelli che oggi chiamano infarto oppure ictus, comunque non c’è stato nessun perdono, toccava fare quella fine lì.
Ha lasciato un grande vuoto specialmente per me che ero costumato a fargli visita quando da Alba andavo al Cappelletto (la frequenza è sempre stata alta). Mi piaceva starlo a sentire perché tutte le volte c’era una “nuova” interessante da ascoltare.
Ha vissuto, dopo la morte di sua madre (Lossjin) da solo, con il suo cane ed è morto disturbando nessuno. Bisogna dire che anche sui cani se ne intendeva: l’ultimo era proprio bello, mi ricordo che gli avevo fatto[1]: “mi sembra un Pastore dei Pirenei” e lui a me, “bravo, te ne intendi davvero! È proprio di quella razza lì”.
In soprappiù Nòtu era un cannone a preparare il dolcetto chinato: come facesse la dose è sempre stato un mistero. Sicuramente ci ficcava della Kina calissaja, del carcoma, della noce moscata e altri sortimenti[2] che solo lui sapeva e che se li è portati nella tomba. Io so soltanto che digestivi così ne spasseggiavano pochi e dopo di allora, di quella forza lì, non ne ho più tastati[3] nessuno.
Quante cose ho imparato da lui sopra le erbe, quante ricette curative mi ha insegnato e che io fin che vivrò le terrò dacconto, anzi ho fatto un ricettario che dentro ci sono tante sue idee.
Grazie Nòtu per il rispetto, la fiducia, la stima e l’amicizia che mi hai donato. Non pagavi la vista ma sei stato una delle persone più in gamba che io abbia avuto il bonheur di conoscere in quei tempi là. Ciao Nòto.
PRIMO CULASSO
[1] Gli avevo fatto = gli avevo detto, risposto piemont = r’àva fàje
[2] Sortimento = novità, pretesto, ritrovato piemont = sortiment
[3] Tastare = assaggiare, sorseggiare piemont = tasté
Riporto in calce una sintesi fattami dal nipote Pierluigi Vacca giuntami in differita, quando avevo già svolto il tema. Oltre a ulteriori dati significativi su Nòtu essa mi pare consona a quanto sopra descritto.
EccoVi il testo:
Parlare di mio zio Nòtu dopo tanti anni che non è più con noi mi assale la malinconia e non mi riesce facile. Non mi resta che raccontare i pochi momenti passati insieme, i ricordi della giovinezza e dei successivi anni.
Zio Nòtu era un uomo umile e timido, timoroso di arrecare disturbo a chiunque, dotato di grande intelligenza e troppo presto segnato dalle avversità della vita. Divoratore di libri e giornali anche vecchi, legato alle tradizioni e alla famiglia ma di mentalità aperta e interessato alle nuove tecnologie e nuovi macchinari.
Sicuramente mio zio Nòtu non aveva avuto una vita facile, suo padre era morto in seguito alle ferite riportate nella 1ma Guerra Mondiale, si erano trovate sole mia nonna, la suocera e due bambini in tenera età. Tirò avanti i lavori in campagna fino a quando nel ’40 partì per la guerra, prima andò in Grecia poi fu prigioniero in Germania, da dove tornò a casa a piedi nel ’45.
Nonostante i maltrattamenti subiti, parlava bene del modo con cui i tedeschi costruivano le loro macchine, infatti fu l’unico in zona a comprare un motocoltivatore di marca tedesca, tuttora funzionante.
Zio Nòtu avrebbe voluto farsi una famiglia, ma come tanti del suo tempo non riuscì a coronare il suo sogno, un po’ per motivi nuovi del dopoguerra, un po’ per non abbandonare la mamma diventata ormai anziana e piena di acciacchi.
Era bello quando giocavamo nei crutin intorno alla casa e quando ci raccontava le storie delle masche, delle visite notturne di strane entità, del pendolino e delle avventure del suo amico Gepu e dei benefici di questa e di quell’erba.
Biografia di Dellaferrera Domenico Giuseppe (Nòtu) nato l’8.11.1914.
Nota finale: Da questo racconto emerge una morale, che è questa: La cultura del sapere, dell’apprendere, la curiosità su cose interessanti non si identifica necessariamente nei “galloni” avuti da diplomi o lauree, ma dal bagaglio di conoscenze acquisite nella vita.
Primo Culasso
Primavera/Estate ‘2010