Ar frèscH , di Primo culasso
Blocco intestinale: storia vera anni ’50 secolo scorso (1900)
Questa storia qui è ambientata nelle zona di Crin-a dmàch[1], fraz. di Smoȓtenen[2].
Giocondo e Lissiòta erano due brave persone. Avevano una casa vecchia attaccata al rittano e non a caso questo bel posto si chiamava Al Fresco. Hanno anche messo al mondo na partìa ‘d masnà[3] e tirata su all’onore del mondo.
Loro hanno vissuto con poco; un po’ di campagna ce l’avevano e con un po’ di questo e un po’ di quello tiravano avanti. Acchiappavano qualche soldo con lo stȓop[4] di capre in autunno. Diciamo che il reddito più grande erano le tome[5]. Indigestioni non ne facevano, ma tra l’orto, una piccola vacca, anatre, galline, përro[6], poȓchin[7], che sotto la greppia la facevano andare giorno e notte e facevano razza a vista d’occhio, come la gramigna nella cotuȓa náiȓa[8]; nidiate d’uccelli in primavera, insomma, se la passavano decentemente.
D’inverno acchiappavano qualche gȓiva [9] sotto la ciapela e qualche lepre con il làss[10].
L’olio si faceva in casa con un torchietto grande come una pentola di ghisa con i garigli di noci e di nocciole. Le noci erano attaccate al rittano, qualche busch [11] di nocciole era sbardajà[12] intorno alla casa: servivano anche a fare ombra.
Però non credetevi che mangiassero tutta questa roba!... Galline, uova, conigli, anatre e un vitello nostrano una volta tanto andavano a finire in piazza ad Alba: servivano a tirare avanti la barziga [13].
A quei tempi là, siamo durante e subito dopo l’ultima guerra, da Crin-a dmàch e Smortenen qualcuno andava a caricare l’acqua salata presso una sorgente al Pajuss [14] vicino alla stazione di Barbaresco. Con quest’acqua salata, facendola bollire parecchio si ricavava il sale; si usava anche belle che liquida per salare i cibi ma era un traffico.
C’era poi uno, un tale Squàrsa-zaȓb [15] di Castino (S Caterina di Borgomale) che con una mula grigia attaccata a un carro (carton) carico di damigiane trafficava in ques’acqua salata. Per un bel po’ di tempo ha fatto un misto tra commercio e trasporto (conduta). Lungo lo stradone, a partire dalla Gora màta[16], luogo della sorgente, fino a Castino, alle case lì attorno lo stradone, a chi lo voleva, gli portava l’acqua salata. Penso fosse piuttosto onesto, perché reggeva bene la concorrenza. A quei tempi là una lira faceva e disfaceva qualsiasi patto.
Come vedete, chi era capace ad aggiustarsi, tirava avanti quasi senza soldi, anzi, queste due persone di cui sto parlando, avevano una tranquillità addosso ed erano sempre di buon umore che a fargli assieme era un plan [17].
[1] Cri-na dmàch = tribulazione continua
[2] Smortenen! =guai a divertirsi
[3] Na partia ‘d masnà = famiglia numerosa
[4] Strop = gregge di capre alla monta
[5] Tome = formaggette di Langa
[6] Përro = conigli
[7] Porchin = poecellino d’India
[8] Cotura nèira = terra fertile, smossa
[9] Griva = cesena, tordo
[10] Ciapela e làss = trappole (grossa pietra puntellata e laccio scorsoio)
[11] Busch = cespuglio
[12] Sbardajà = sparso qua e là
[13] Barziga = economia famigliare
[14]Pajuss = toponimo derivante da paglia scadente
[15]Squàrsa-zerb = dissodatore di terreni gerbidi
[16] Gora màta = salice della capra
[17] Plan = soddisfazione, piacere
Tanto meglio di quei rafaton[1] che solo a vederli ti mettono l’agitazione.
A Giocondo gli piaceva anche scherzare e raccontare balle (storie comiche)!... Sovente raccontava che in autunno, durante la monta delle capre, vedendo il cȓavon ò boch[2] a darci dentro con le capre gli faceva venire il vëzzo[3] anche a lui e ogni tanto scorrazzava Lissiòta! Se non ci fosse stato questo caprone a metterglielo in mente, a Giocondo non ci sarebbe mai più venuta la maȓissia [4]! Era già da un po’ che su quel tasto lì marcava picche. Questo aneddoto mi fa venire in mente una battuta che ho sentito da qualche parte e che mi era piaciuta. Una bella nipote va a trovare un suo anziano,bàȓba[5], e come lo vede gli fa:” come va barba?!..”. Lui, ci pensa un momento poi tutto serio le risponde:”non mi ricordo più”.
A Giocondo piaceva anche il vino, soltanto che la posizione della sua terra era infelice. Avevano piantato un autin[6] di barbera nell’auvé[7] di qua del rittano che il sole lo imbrancàva [8] dalle cinque di sera in poi. E soprappiù, dalla parte del sorì[9] della mattina (Est) questa vignetta era nascosta da una ricciolata di gaggie, sambuchi, sanguini, mescolati con vitalba e bȓassabòsch [10] talmente s-ciàss[11] che la luce del sole si guardava bene dal trapanarli. Questa ricciolata era del vicino di Giocondo il quale si guardava bene di pulire o tagliare; perché in Langa, forse anche nei Roeri, normalmente, i poveri diavoli, piace vederli tribulare. Non tutti neh!... ma qulcuno c’è. Bisogna però anche dire che quando capita qualche disgrazia o grosso danno in campagna o nella stalla (falansa[12]) si mettono in quattro a soccorerti. Non te li togli più di torno!... Ti piangono addosso disperati!... È un’usanza combinata in maniera che per il piacere di vederti a criné [13], dopo, forse, hanno il ringȓèt [14] e con lo stesso piacere vogliono “far vedere” di volerti aiutare. Che pasticcio che è il buon vicinato!
Tutto questo per dirvi che da questa vignetta uscivano, quando andava bene, delle barbere galeuse [15], della tinta della bandiera italiana. La piccola botte aveva un dito di gromma, in modo che alla fine ne veniva fuori un vino muto, ponciù [16] che a berlo dovevi tenerti al tavolo. Anzi, in questo caso, conveniva usare i pannolini salva mutande, oppure mutande mimetiche così non pativano lo sporco.
Tanto basta che Lissiòta, donna di buona bocca, a forza di mangiare grossolano: bȓos [17], acciughe, poȓchin, vinvere[18] e berci sopra questa barbera sgȓeusa [19] le era venuta una infiammazione con due emorroidi che assomigliavano a quelle delle scimmie in calore dello zoo del Valentino. Queste scimmie mi vengono in mente perché quando mia figlia era piccola, una domenica, l’abbiamo portata a visitare lo zoo del Valentino.
[1] Rafaton = pasticcione, fanatico
[2] Cravon ò buch = caprone maschio
[3] Vëzzo = capriccio, desiderio
[4] Marissia = accortezza, malizia
[5] Bàrba = zio
[6] Autin = piccola vigna
[7] Auvé = versante Nord-Ovest
[8] ambrancare = afferrare
[9] Sorì = solatìo
[10] Brassabòsc = edera
[11] S-ciàss = fitto, folto
[12] Falansa = disgrazia, danno
[13] Criné = tribulare (da maiale)
[14] Ringrèt = pentimento
[15] Galeuse = immature, tinta tra il verde e il rosso
[16] Ponciù = con punte acide, ruvido
[17] Bros = crema di toma piccante
[18] Vinvere = scoiattoli
[19] Sgreusa = ruvida, acida
Arrivati davanti al recinto delle scimmie mia moglie ed io ci siamo spaventati a vedere le emorroidi delle
scimmie femmine; erano più grandi le emorroidi delle scimmie! E i maschi!... Scorazzando le femmine facevano dei salti e dei voli e delle urla nere. Non sapevo più cosa dirmene!... Alla fine ho chiesto al guardiano:” che diavolo hanno queste scimmie!?...”. Lui mi ha spiegato che erano in calore.
Quando la mia bambina si è accorta anche lei della faccenda, mi chiede:” Che cosa è successo alle scimmie? Non stanno bene?...”. Io sono rimasto interdetto, non sapevo cosa risponderle! Avevo lo spavento addosso di doverle raccontarle tutta la storia del lupo! Alla fine, per fortuna, mi è venuta l’ispirazione decente: le ho raccontato che tutto quello è capitato perché erano andate troppo sullo scivolo.
Lissiòta era quasi a quella mira lì e in soprappiù l’intestino era diventato piuttosto pigro, al punto che non riusciva più a sbarazzarsi, neanche con la cura delle susine piccole e cotte che raccoglieva attaccato al rittano.
Disperato, Giocondo, corre da Don Maȓissia, che oltre a fare il prete e il maestro a Smortenen, a quei tempi là faceva anche il settimino, bisogna dire che era veramente in gamba!... Giocondo, lì per lì non sapeva come dirglielo, non si osava, ma alla fine prende il coraggio a due mani e fa al prete:”Sor Prevòstȓ, Lissiòta ha un botum[1] nella pancia che non riesce più a sbarazzarsi; mi dia una mano Lei, per piacere!...Don Maȓissia gli fa:” Oh bon uomo !... Te l’avevo già detto di mangiare un po’ più fine, di mollare un po’ la barbera ruvida, di fare dei minestroni di riso e pissacan [2]. Incomincia a farle bere il decotto di riondela [3] e gramigna.
Ma per poterla liberare io ti faccio una ricetta. Vai ad Alba dallo spessiari [4] Tirtenlà [5], ti fai dare tre clisteri lavativi (lassativi) con una bella pera di gomma. Arrivato a casa sciogli questo “lavativo” nell’acqua cëppa [6], riempi la pera di gomma e gliela sgnàchi nel di dietro di Lissiòta. Vedrai che alla 2° pera Lei si sbarazza. Giocondo ringrazia il “Prevòstȓ” e, tutto affannato, parte subito per Alba dallo Speziale Tirtenlà. Questo Spessiaȓi qua era in gamba, mica cattivo! Era solo piuttosto sostenuto, rustico, fatto in modo che ti metteva gena [7]. Fai conto e caso, se eri timoroso e timido di essere costretto ad attraversare in canottiera e mutande “slip” una siepe intricata di rovi e biancospini, con spine lunghe così! Ne esci fuori tutto sgarognà [8] da farti paura da solo. Ovviamente in senso psicologigo. Tale era la soggezione delle persone semplici di fronte allo speziale. Per questo motivo qui, Giocondo, andando giù verso Alba si studiava bene ciò che doveva richiedere. Arriva davanti allo Spessiaȓi, non si ricorda più dei “lavativi”, inizia ad affannarsi, si inciampa, si mette a a cachëzzé [9] e fa:” che…che…che… s.s.s.senta”. Lo speziale Tirtenlà incomincia a perdere la pazienza, poi gli fa a Giocondo:” qui non abbiamo tempo da perdere! Se non ti ricordi più di che cosa hai bisogno torna domani!”.... Giocondo, che aveva tanto bisogno dei “lavativi”, finalmente si sblocca e riesce a dire:” Sor, sor, sor lavativo, che…che…che… mi dia tre spessiaȓi da ficcare nel culo di mia moglie. Grazie tante neh!...
Alla fine della storia, Giocondo è poi riuscito a portare a casa i lavativi e mettere in quadro sua moglie.
PRIMO CULASSO
[1] Botum = calcestruzzo
[2] Pissacan = tarassaco, insalata amara
[3] Riondela = malva
[4] Spessiari = speziale, farmacista
[5] Tirtenlà = stammi alla larga
[6] Cëppa = tiepida
[7] Gena = soggezione
[8] Sgarognà = graffiarto, scorticato
[9] Cachëzzé = balbuziente
Questa storia qui è ambientata nelle zona di Crin-a dmàch[1], fraz. di Smoȓtenen[2].
Giocondo e Lissiòta erano due brave persone. Avevano una casa vecchia attaccata al rittano e non a caso questo bel posto si chiamava Al Fresco. Hanno anche messo al mondo na partìa ‘d masnà[3] e tirata su all’onore del mondo.
Loro hanno vissuto con poco; un po’ di campagna ce l’avevano e con un po’ di questo e un po’ di quello tiravano avanti. Acchiappavano qualche soldo con lo stȓop[4] di capre in autunno. Diciamo che il reddito più grande erano le tome[5]. Indigestioni non ne facevano, ma tra l’orto, una piccola vacca, anatre, galline, përro[6], poȓchin[7], che sotto la greppia la facevano andare giorno e notte e facevano razza a vista d’occhio, come la gramigna nella cotuȓa náiȓa[8]; nidiate d’uccelli in primavera, insomma, se la passavano decentemente.
D’inverno acchiappavano qualche gȓiva [9] sotto la ciapela e qualche lepre con il làss[10].
L’olio si faceva in casa con un torchietto grande come una pentola di ghisa con i garigli di noci e di nocciole. Le noci erano attaccate al rittano, qualche busch [11] di nocciole era sbardajà[12] intorno alla casa: servivano anche a fare ombra.
Però non credetevi che mangiassero tutta questa roba!... Galline, uova, conigli, anatre e un vitello nostrano una volta tanto andavano a finire in piazza ad Alba: servivano a tirare avanti la barziga [13].
A quei tempi là, siamo durante e subito dopo l’ultima guerra, da Crin-a dmàch e Smortenen qualcuno andava a caricare l’acqua salata presso una sorgente al Pajuss [14] vicino alla stazione di Barbaresco. Con quest’acqua salata, facendola bollire parecchio si ricavava il sale; si usava anche belle che liquida per salare i cibi ma era un traffico.
C’era poi uno, un tale Squàrsa-zaȓb [15] di Castino (S Caterina di Borgomale) che con una mula grigia attaccata a un carro (carton) carico di damigiane trafficava in ques’acqua salata. Per un bel po’ di tempo ha fatto un misto tra commercio e trasporto (conduta). Lungo lo stradone, a partire dalla Gora màta[16], luogo della sorgente, fino a Castino, alle case lì attorno lo stradone, a chi lo voleva, gli portava l’acqua salata. Penso fosse piuttosto onesto, perché reggeva bene la concorrenza. A quei tempi là una lira faceva e disfaceva qualsiasi patto.
Come vedete, chi era capace ad aggiustarsi, tirava avanti quasi senza soldi, anzi, queste due persone di cui sto parlando, avevano una tranquillità addosso ed erano sempre di buon umore che a fargli assieme era un plan [17].
[1] Cri-na dmàch = tribulazione continua
[2] Smortenen! =guai a divertirsi
[3] Na partia ‘d masnà = famiglia numerosa
[4] Strop = gregge di capre alla monta
[5] Tome = formaggette di Langa
[6] Përro = conigli
[7] Porchin = poecellino d’India
[8] Cotura nèira = terra fertile, smossa
[9] Griva = cesena, tordo
[10] Ciapela e làss = trappole (grossa pietra puntellata e laccio scorsoio)
[11] Busch = cespuglio
[12] Sbardajà = sparso qua e là
[13] Barziga = economia famigliare
[14]Pajuss = toponimo derivante da paglia scadente
[15]Squàrsa-zerb = dissodatore di terreni gerbidi
[16] Gora màta = salice della capra
[17] Plan = soddisfazione, piacere
Tanto meglio di quei rafaton[1] che solo a vederli ti mettono l’agitazione.
A Giocondo gli piaceva anche scherzare e raccontare balle (storie comiche)!... Sovente raccontava che in autunno, durante la monta delle capre, vedendo il cȓavon ò boch[2] a darci dentro con le capre gli faceva venire il vëzzo[3] anche a lui e ogni tanto scorrazzava Lissiòta! Se non ci fosse stato questo caprone a metterglielo in mente, a Giocondo non ci sarebbe mai più venuta la maȓissia [4]! Era già da un po’ che su quel tasto lì marcava picche. Questo aneddoto mi fa venire in mente una battuta che ho sentito da qualche parte e che mi era piaciuta. Una bella nipote va a trovare un suo anziano,bàȓba[5], e come lo vede gli fa:” come va barba?!..”. Lui, ci pensa un momento poi tutto serio le risponde:”non mi ricordo più”.
A Giocondo piaceva anche il vino, soltanto che la posizione della sua terra era infelice. Avevano piantato un autin[6] di barbera nell’auvé[7] di qua del rittano che il sole lo imbrancàva [8] dalle cinque di sera in poi. E soprappiù, dalla parte del sorì[9] della mattina (Est) questa vignetta era nascosta da una ricciolata di gaggie, sambuchi, sanguini, mescolati con vitalba e bȓassabòsch [10] talmente s-ciàss[11] che la luce del sole si guardava bene dal trapanarli. Questa ricciolata era del vicino di Giocondo il quale si guardava bene di pulire o tagliare; perché in Langa, forse anche nei Roeri, normalmente, i poveri diavoli, piace vederli tribulare. Non tutti neh!... ma qulcuno c’è. Bisogna però anche dire che quando capita qualche disgrazia o grosso danno in campagna o nella stalla (falansa[12]) si mettono in quattro a soccorerti. Non te li togli più di torno!... Ti piangono addosso disperati!... È un’usanza combinata in maniera che per il piacere di vederti a criné [13], dopo, forse, hanno il ringȓèt [14] e con lo stesso piacere vogliono “far vedere” di volerti aiutare. Che pasticcio che è il buon vicinato!
Tutto questo per dirvi che da questa vignetta uscivano, quando andava bene, delle barbere galeuse [15], della tinta della bandiera italiana. La piccola botte aveva un dito di gromma, in modo che alla fine ne veniva fuori un vino muto, ponciù [16] che a berlo dovevi tenerti al tavolo. Anzi, in questo caso, conveniva usare i pannolini salva mutande, oppure mutande mimetiche così non pativano lo sporco.
Tanto basta che Lissiòta, donna di buona bocca, a forza di mangiare grossolano: bȓos [17], acciughe, poȓchin, vinvere[18] e berci sopra questa barbera sgȓeusa [19] le era venuta una infiammazione con due emorroidi che assomigliavano a quelle delle scimmie in calore dello zoo del Valentino. Queste scimmie mi vengono in mente perché quando mia figlia era piccola, una domenica, l’abbiamo portata a visitare lo zoo del Valentino.
[1] Rafaton = pasticcione, fanatico
[2] Cravon ò buch = caprone maschio
[3] Vëzzo = capriccio, desiderio
[4] Marissia = accortezza, malizia
[5] Bàrba = zio
[6] Autin = piccola vigna
[7] Auvé = versante Nord-Ovest
[8] ambrancare = afferrare
[9] Sorì = solatìo
[10] Brassabòsc = edera
[11] S-ciàss = fitto, folto
[12] Falansa = disgrazia, danno
[13] Criné = tribulare (da maiale)
[14] Ringrèt = pentimento
[15] Galeuse = immature, tinta tra il verde e il rosso
[16] Ponciù = con punte acide, ruvido
[17] Bros = crema di toma piccante
[18] Vinvere = scoiattoli
[19] Sgreusa = ruvida, acida
Arrivati davanti al recinto delle scimmie mia moglie ed io ci siamo spaventati a vedere le emorroidi delle
scimmie femmine; erano più grandi le emorroidi delle scimmie! E i maschi!... Scorazzando le femmine facevano dei salti e dei voli e delle urla nere. Non sapevo più cosa dirmene!... Alla fine ho chiesto al guardiano:” che diavolo hanno queste scimmie!?...”. Lui mi ha spiegato che erano in calore.
Quando la mia bambina si è accorta anche lei della faccenda, mi chiede:” Che cosa è successo alle scimmie? Non stanno bene?...”. Io sono rimasto interdetto, non sapevo cosa risponderle! Avevo lo spavento addosso di doverle raccontarle tutta la storia del lupo! Alla fine, per fortuna, mi è venuta l’ispirazione decente: le ho raccontato che tutto quello è capitato perché erano andate troppo sullo scivolo.
Lissiòta era quasi a quella mira lì e in soprappiù l’intestino era diventato piuttosto pigro, al punto che non riusciva più a sbarazzarsi, neanche con la cura delle susine piccole e cotte che raccoglieva attaccato al rittano.
Disperato, Giocondo, corre da Don Maȓissia, che oltre a fare il prete e il maestro a Smortenen, a quei tempi là faceva anche il settimino, bisogna dire che era veramente in gamba!... Giocondo, lì per lì non sapeva come dirglielo, non si osava, ma alla fine prende il coraggio a due mani e fa al prete:”Sor Prevòstȓ, Lissiòta ha un botum[1] nella pancia che non riesce più a sbarazzarsi; mi dia una mano Lei, per piacere!...Don Maȓissia gli fa:” Oh bon uomo !... Te l’avevo già detto di mangiare un po’ più fine, di mollare un po’ la barbera ruvida, di fare dei minestroni di riso e pissacan [2]. Incomincia a farle bere il decotto di riondela [3] e gramigna.
Ma per poterla liberare io ti faccio una ricetta. Vai ad Alba dallo spessiari [4] Tirtenlà [5], ti fai dare tre clisteri lavativi (lassativi) con una bella pera di gomma. Arrivato a casa sciogli questo “lavativo” nell’acqua cëppa [6], riempi la pera di gomma e gliela sgnàchi nel di dietro di Lissiòta. Vedrai che alla 2° pera Lei si sbarazza. Giocondo ringrazia il “Prevòstȓ” e, tutto affannato, parte subito per Alba dallo Speziale Tirtenlà. Questo Spessiaȓi qua era in gamba, mica cattivo! Era solo piuttosto sostenuto, rustico, fatto in modo che ti metteva gena [7]. Fai conto e caso, se eri timoroso e timido di essere costretto ad attraversare in canottiera e mutande “slip” una siepe intricata di rovi e biancospini, con spine lunghe così! Ne esci fuori tutto sgarognà [8] da farti paura da solo. Ovviamente in senso psicologigo. Tale era la soggezione delle persone semplici di fronte allo speziale. Per questo motivo qui, Giocondo, andando giù verso Alba si studiava bene ciò che doveva richiedere. Arriva davanti allo Spessiaȓi, non si ricorda più dei “lavativi”, inizia ad affannarsi, si inciampa, si mette a a cachëzzé [9] e fa:” che…che…che… s.s.s.senta”. Lo speziale Tirtenlà incomincia a perdere la pazienza, poi gli fa a Giocondo:” qui non abbiamo tempo da perdere! Se non ti ricordi più di che cosa hai bisogno torna domani!”.... Giocondo, che aveva tanto bisogno dei “lavativi”, finalmente si sblocca e riesce a dire:” Sor, sor, sor lavativo, che…che…che… mi dia tre spessiaȓi da ficcare nel culo di mia moglie. Grazie tante neh!...
Alla fine della storia, Giocondo è poi riuscito a portare a casa i lavativi e mettere in quadro sua moglie.
PRIMO CULASSO
[1] Botum = calcestruzzo
[2] Pissacan = tarassaco, insalata amara
[3] Riondela = malva
[4] Spessiari = speziale, farmacista
[5] Tirtenlà = stammi alla larga
[6] Cëppa = tiepida
[7] Gena = soggezione
[8] Sgarognà = graffiarto, scorticato
[9] Cachëzzé = balbuziente