Il Carro di Candido
Quando si arriva allo spettacolare anfiteatro della Rocca Cruera e, più a monte alla Rocca di Bùj, dove i benevellesi ricoveravano i "buj dr'avije", le arnie delle api, in inverno, si rimane colpiti dalla bellezza del sito. È territorio di confine anche questo perché ci si arriva da Borgomale e già al di là della Berria è Lequio.
Nel campo sotto la strada il grano è stato tagliato come una volta e raccolto in covoni che dopo l'essicazione verranno ammucchiati in "capàle" (fatte di 15 covoni), quindi si faranno i "burlót" o la "burla " in attesa della macchina da battere.
Candido mi spiega tutto per bene, con pazienza e precisione, e ricorda i tempi di suo nonno e di suo padre, quando ancora il "rodone"del mulino girava e tutt'intorno i campi erano coltivati come giardini.
M'accompagna poi nell'amena valletta del Berria, posto veramente fantastico, silenzioso, con il solo sottofondo del sommesso gorgoglio dell'acqua del torrente, fresca e trasparente. Superiamo diversi guadi per arrivare infine nell'ampia radura del Molinetto. La vecchia casa , forse anch'essa un antico mulino, è ormai cadente, ma di grandissimo fascino.
Sul fianco nord - ovest si sviluppa la più fantastica rocca di Langa che abbia mai visto, con stratificazioni variegate dalle quali sporgono conformazioni di arenaria dalle forme più fantasiose: bocce, dischi, figure conglomerate che parrebbero scolpite da Niki de Saint Phalle.
Ai piedi ed in parte sotto la rocca che li sovrasta, assieme ad un noce cresciuto di traverso, sostano i due famosi carri di Candido, abbandonati lì nel 1969, uno ancora carico del fieno del secolo scorso, appena coperto da un velo di polvere.
Candido dice di averlo lasciato li il fieno, provvisoriamente, il giorno prima delle sue nozze, avendo cose più importanti da fare e poi di non essere mai più andato a riprenderselo. Candido, sornione, se la ride, ed i suoi occhi brillano alla luce dei ricordi: ne sono contagiato anch'io.
Non so se me la racconta giusta ma sicuramente questa storia gli ha portato bene, e fa sognare anche me.
G.J. Murialdo
Nel campo sotto la strada il grano è stato tagliato come una volta e raccolto in covoni che dopo l'essicazione verranno ammucchiati in "capàle" (fatte di 15 covoni), quindi si faranno i "burlót" o la "burla " in attesa della macchina da battere.
Candido mi spiega tutto per bene, con pazienza e precisione, e ricorda i tempi di suo nonno e di suo padre, quando ancora il "rodone"del mulino girava e tutt'intorno i campi erano coltivati come giardini.
M'accompagna poi nell'amena valletta del Berria, posto veramente fantastico, silenzioso, con il solo sottofondo del sommesso gorgoglio dell'acqua del torrente, fresca e trasparente. Superiamo diversi guadi per arrivare infine nell'ampia radura del Molinetto. La vecchia casa , forse anch'essa un antico mulino, è ormai cadente, ma di grandissimo fascino.
Sul fianco nord - ovest si sviluppa la più fantastica rocca di Langa che abbia mai visto, con stratificazioni variegate dalle quali sporgono conformazioni di arenaria dalle forme più fantasiose: bocce, dischi, figure conglomerate che parrebbero scolpite da Niki de Saint Phalle.
Ai piedi ed in parte sotto la rocca che li sovrasta, assieme ad un noce cresciuto di traverso, sostano i due famosi carri di Candido, abbandonati lì nel 1969, uno ancora carico del fieno del secolo scorso, appena coperto da un velo di polvere.
Candido dice di averlo lasciato li il fieno, provvisoriamente, il giorno prima delle sue nozze, avendo cose più importanti da fare e poi di non essere mai più andato a riprenderselo. Candido, sornione, se la ride, ed i suoi occhi brillano alla luce dei ricordi: ne sono contagiato anch'io.
Non so se me la racconta giusta ma sicuramente questa storia gli ha portato bene, e fa sognare anche me.
G.J. Murialdo