Aulin. Quasi certamente nonna Adelaide avrebbe chiamato così Halloween, questa barbara festa calata da chissà dove. Mi sembra ancora di sentirla recitare il Pater Noster durante la novena nella cappelletta d’la Madòna, quell’ “at vèn terèn tantùm” che stava per “adveniat regnum tuum”, parole peraltro scandite con la più elevata devozione possibile. Ma che facciamo, ci burliamo delle masche come se fossero entità astratte che non possono né vedere né sentire?
Ma come ci permettiamo? Le masche esistono, eccome. Se sei un vero langhetto lo sai per certo. Per di più domani sera, la sera dei Santi, come se non bastassero le eteree figure in chissà cosa trasmutate, ci si metteranno pure le anime dei defunti.
«Ci sono i morti in giro, guai a uscire dopo che si è fatto buio!», diceva la nonna.
Se chiedevi spiegazioni, ti raccontava di gaglioffi ritrovati il mattino seguente in qualche rittano con un coltello nella schiena, di donne urlanti coi capelli sbiancati dal terrore, inseguite da teste di capra con gli occhi accesi come carboni, di piedi invisibili che ti sgambettavano mentre mani velocissime ti sfilavano la borsa. Tanto non avresti potuto tenere acceso nessun lume, nessun vetro di protezione avrebbe resistito al soffio della morte, che aveva bisogno del buio più totale per ghermirti.
Per non parlare poi della Signora senza Testa, una bella dama dal lungo vestito bianco impreziosito da pregiati merletti, che vagava per i prati in riva allo Riàvolo senza testa, con un coltello in una mano ed un cero nell’altra, chiedendo ad ogni piè sospinto «Dov’è la mia testa? Ridatemi la mia testa!», che se ad incontrarla fosse stata una giovane donna avrebbe corso il rischio di essere decapitata a sua volta dalla dama al fine di riassestarsi finalmente una testa sulle spalle. Uscire alla sera dei Santi? Nessuno si sarebbe azzardato a farlo. Nei discorsi che intercettavo nella bottega da barbiere di mio padre, quante ne avrei poi sentite a proposito delle misteriose apparizioni occorse a chi avesse osato trasgredire alla consegna!
Il pomeriggio dei Santi si andava al cimitero, poi tutti a casa dei nonni, si mangiavano le castagne. Gli uomini bevevano il vino nuovo appena spillato, le donne e i ragazzini la pichèta e poi, via, fuori tutti in modo da poter rientrare prima del calar delle tenebre.
Mia madre, poi, per prima era sempre lì a scrutare l’ora e a fare cenni a mio padre, distratto dagli effluvi vinosi del Dolcetto della vigna d’la Madòna, la miglior posizione in assoluto dei Boeri, tale da dare tanto grado che ai Santi ci sentivi ancora una vena di dolce.
Halloween era ancora lungi a venire. Questa cosa di adesso è solo folclore. Non la raccontano a noi che invece abbiamo toccato con mano.
Mio nonno Pietrino di Serravalle, ad esempio, spogliando la meliga raccontava tutto serio che una sera, dopo aver zappato nella vigna di Galàt, vicinissima al paese, aveva deciso di andarsi a fare un quartino all’osteria “da Bogliolo” prima di cena.
Zappa in spalla, durante il ritorno a casa, giunto alla località che chiamano Montà si trovò improvvisamente di fronte un enorme coniglio bianco, fosforescente come una statuina della madonna.
Spaventato, cominciò a brandire la zappa, cercando di colpirlo. Ma…niente da fare, quando lui colpiva lo zig, il coniglio rimbalzava nello zag. Gli venne in mente un famoso trucco, imparato dai cecchini nelle trincee sul Carso: battere due volte consecutive nello zag. Così fece e colpì il coniglio in pieno, tagliandolo in due di netto. Dalle viscere, stranamente non uscì neanche una goccia di sangue. Tentò di raccattarlo, ma come fece per afferrarlo, l’animale si sciolse, sublimato nel nulla come un fuoco fatuo.
Poi, come adesso, ci sono ragazzini che su queste cose serie ci scherzano. Si è sempre fatto, d’altronde. Mi ricordo che mio padre mi raccontava che a Cissone da ragazzo (siamo negli anni ’20) si era divertito con gli amici a svuotare una zucca, intagliarla per ricavarci occhi e bocca, infilarci dentro una candela e poi andare a collocarla una sera tra le fronde lungo il sentiero dei Neri, in attesa che ci passassero le donne di ritorno dalla novena. A quella vista, le poverine urlarono e scapparono indietro a gambe levate fino a Cissone per chiamare i loro uomini che si erano attardati all’Osteria della Moretta. Inutile dirlo, ma al loro ritorno il “corpo del reato” era sparito. Quando infine giunsero ai Boeri le donne schiamazzavano urlando:
«Le masche, abbiamo visto le masche! ».
Nel intanto, finestre ed usci si aprivano, radunando curiosi. E loro giù a raccontare i più inverosimili particolari.
«E’arrivata volando, aveva una testa enorme, stava lì a fissarci digrignando i denti… ».
Non potevano scorgerli, ma sul fienile di casa Boero, sdraiati sul fieno, c’erano diverse paia di occhietti che spiavano di nascosto gustandosi la scena, trattenendo a stento risatine divertite.
L’episodio andò ad aggiungersi a tantissimi altri circa il mistero delle masche, che dal canto loro, ripeto, esistono per davvero e se ne fanno un baffo degli sberleffi di quattro ragazzini.
Anzi, guardano e imparano...
Ma come ci permettiamo? Le masche esistono, eccome. Se sei un vero langhetto lo sai per certo. Per di più domani sera, la sera dei Santi, come se non bastassero le eteree figure in chissà cosa trasmutate, ci si metteranno pure le anime dei defunti.
«Ci sono i morti in giro, guai a uscire dopo che si è fatto buio!», diceva la nonna.
Se chiedevi spiegazioni, ti raccontava di gaglioffi ritrovati il mattino seguente in qualche rittano con un coltello nella schiena, di donne urlanti coi capelli sbiancati dal terrore, inseguite da teste di capra con gli occhi accesi come carboni, di piedi invisibili che ti sgambettavano mentre mani velocissime ti sfilavano la borsa. Tanto non avresti potuto tenere acceso nessun lume, nessun vetro di protezione avrebbe resistito al soffio della morte, che aveva bisogno del buio più totale per ghermirti.
Per non parlare poi della Signora senza Testa, una bella dama dal lungo vestito bianco impreziosito da pregiati merletti, che vagava per i prati in riva allo Riàvolo senza testa, con un coltello in una mano ed un cero nell’altra, chiedendo ad ogni piè sospinto «Dov’è la mia testa? Ridatemi la mia testa!», che se ad incontrarla fosse stata una giovane donna avrebbe corso il rischio di essere decapitata a sua volta dalla dama al fine di riassestarsi finalmente una testa sulle spalle. Uscire alla sera dei Santi? Nessuno si sarebbe azzardato a farlo. Nei discorsi che intercettavo nella bottega da barbiere di mio padre, quante ne avrei poi sentite a proposito delle misteriose apparizioni occorse a chi avesse osato trasgredire alla consegna!
Il pomeriggio dei Santi si andava al cimitero, poi tutti a casa dei nonni, si mangiavano le castagne. Gli uomini bevevano il vino nuovo appena spillato, le donne e i ragazzini la pichèta e poi, via, fuori tutti in modo da poter rientrare prima del calar delle tenebre.
Mia madre, poi, per prima era sempre lì a scrutare l’ora e a fare cenni a mio padre, distratto dagli effluvi vinosi del Dolcetto della vigna d’la Madòna, la miglior posizione in assoluto dei Boeri, tale da dare tanto grado che ai Santi ci sentivi ancora una vena di dolce.
Halloween era ancora lungi a venire. Questa cosa di adesso è solo folclore. Non la raccontano a noi che invece abbiamo toccato con mano.
Mio nonno Pietrino di Serravalle, ad esempio, spogliando la meliga raccontava tutto serio che una sera, dopo aver zappato nella vigna di Galàt, vicinissima al paese, aveva deciso di andarsi a fare un quartino all’osteria “da Bogliolo” prima di cena.
Zappa in spalla, durante il ritorno a casa, giunto alla località che chiamano Montà si trovò improvvisamente di fronte un enorme coniglio bianco, fosforescente come una statuina della madonna.
Spaventato, cominciò a brandire la zappa, cercando di colpirlo. Ma…niente da fare, quando lui colpiva lo zig, il coniglio rimbalzava nello zag. Gli venne in mente un famoso trucco, imparato dai cecchini nelle trincee sul Carso: battere due volte consecutive nello zag. Così fece e colpì il coniglio in pieno, tagliandolo in due di netto. Dalle viscere, stranamente non uscì neanche una goccia di sangue. Tentò di raccattarlo, ma come fece per afferrarlo, l’animale si sciolse, sublimato nel nulla come un fuoco fatuo.
Poi, come adesso, ci sono ragazzini che su queste cose serie ci scherzano. Si è sempre fatto, d’altronde. Mi ricordo che mio padre mi raccontava che a Cissone da ragazzo (siamo negli anni ’20) si era divertito con gli amici a svuotare una zucca, intagliarla per ricavarci occhi e bocca, infilarci dentro una candela e poi andare a collocarla una sera tra le fronde lungo il sentiero dei Neri, in attesa che ci passassero le donne di ritorno dalla novena. A quella vista, le poverine urlarono e scapparono indietro a gambe levate fino a Cissone per chiamare i loro uomini che si erano attardati all’Osteria della Moretta. Inutile dirlo, ma al loro ritorno il “corpo del reato” era sparito. Quando infine giunsero ai Boeri le donne schiamazzavano urlando:
«Le masche, abbiamo visto le masche! ».
Nel intanto, finestre ed usci si aprivano, radunando curiosi. E loro giù a raccontare i più inverosimili particolari.
«E’arrivata volando, aveva una testa enorme, stava lì a fissarci digrignando i denti… ».
Non potevano scorgerli, ma sul fienile di casa Boero, sdraiati sul fieno, c’erano diverse paia di occhietti che spiavano di nascosto gustandosi la scena, trattenendo a stento risatine divertite.
L’episodio andò ad aggiungersi a tantissimi altri circa il mistero delle masche, che dal canto loro, ripeto, esistono per davvero e se ne fanno un baffo degli sberleffi di quattro ragazzini.
Anzi, guardano e imparano...