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BRUCARE PIANO
​
emanuele bella


Quella sera non ne imbroccava una. Il pialletto si piantò all’improvviso nel bordo di quella doga che già, per disattenzione, aveva massacrato in precedenza. Pensò, guardandosi attorno, a quanto tempo era trascorso dal giorno in cui aveva rilevato il laboratorio del suo datore di lavoro. ​
​Ormai erano trascorsi quasi trent’anni e gli affari erano sempre andati bene. Era mutata soltanto la richiesta.
​Ormai le botti nuove dovevano essere fatte in serie per contenere il prezzo e soddisfare la domanda.
Era lavoro per i grossi produttori come Gamba, o i francesi o i siciliani; con i centri di lavoro e tanti dipendenti. In quella nicchia di chi produce recipienti fuori misura e soprattutto sa fare bene le manutenzioni, era rimasto solo.
Dopo una crisi di un paio di anni, in molti avevano capito che il futuro di un buon vino non stava nel cemento o nella vetroresina. Aveva ormai da parte un buon gruzzolo, accumulato nei tanti sabati trascorsi in laboratorio, nelle domeniche tolte al divertimento; nelle notti insonni. Tanti soldi che gli avrebbero garantito una vecchiaia serena e sarebbero tornati utili al figlio e ai nipoti. E poi si sa, soldo fa soldo e pidocchio fa pidocchio. I BOT e I Buoni fruttiferi postali assicuravano rendimenti da favola. Negli ultimi dieci anni aveva visto addirittura raddoppiare il capitale; e in 15 anni sarebbe triplicato. Non trascorreva mese che non si recasse in banca o in posta per depositare o sottoscrivere titoli. Tornato a casa era solito osservarli alla luce della finestra con soddisfazione e poi metterli nel cassetto del comò piegati in due: “Tanto non li rubano perché non sono al portatore” ripeteva tra se e se. 

Il giorno successivo uno dei suoi clienti migliori, Giorgio, padrone della vigna più bella del circondario, lo invitò all’osteria per presentargli un conoscente. Era stato vago da buon commerciante di vino e di uve. Il personaggio che voleva fargli conoscere giunse con un Mercedes nero che non finiva più. Giacca e cravatta e scarpe lucide: quello che ti aspetti da un buon rappresentante insomma; tanta immagine e tanti debiti. Costui tuttavia pareva diverso. Aveva le mani callose e forti di chi aveva lavorato tanto. Si sedettero al tavolo e, mentre aspettavano il piatto di tajarin col sugo di coniglio, discorsero delle rispettive aziende e delle rendite e delle tasse. Venne fuori che il nuovo venuto era proprietario di cave, case, alloggi e che in poco tempo aveva visto aumentare considerevolmente i propri risparmi; molto di più di ciò che normalmente era possibile fare con i titoli di Stato. Filippo il bottaio fu subito diffidente: “I soldi facili durano poco” ripetè a se stesso. Fu tuttavia si era dimostrato curioso e molto gentile. L’amico dell’amico era un imprenditore conosciuto e stimato in zona; una di quelle persone che hanno i soldi ma se li meritano tutti. Quando si congedarono tuttavia, non potè fare a meno di prendere Giorgio da parte:” Ma sei venuto matto? Vuoi dare tutti i tuoi soldi a uno che neppure sappiamo chi è”?
Giorgio di primo acchito si risentì. Era tuttavia un uomo pratico e il credere a dei tassi d’interesse così alti aveva messo in crisi anche lui all’inizio. Perciò si rivolse all’amico bottaio con grande, bonaria serietà: ” Vedi, il signor Marcello è un imprenditore serio e molto stimato. Aveva dei capitali che poteva permettersi di rischiare e ha provato. Non ti dico che li ha raddoppiati in due anni ma poco ci manca. Così si è deciso a proporre ad amici e conoscenti lo stesso sistema. E’ una finanziaria di Milano che investe nell’edilizia. Costruiscono le case, le vendono e pagano gli interessi. Non c’è niente di strano o di losco. E poi comunque non gli ho dato “tutti i miei soldi”. Ho provato con poco e ho fatto guadagni enormi, senza nessun rischio”. Si lasciarono sorridenti e con una stretta di mano. 

Filippo non aderì subito. L’idea di raddoppiare il capitale in così poco tempo, in qualche modo gli toglieva il sonno. Dopo qualche settimana prese altre informazioni da Giorgio, chiamò l’agente e questi si presentò con poche carte e tanta serietà e trasparenza. Non aveva bisogno di convincere nessuno. A un tratto tirò addirittura fuori l’elenco di quello che aveva investito lui; capitali e interessi. Si vedeva che era uno pulito. Sottoscrissero una polizza per cento milioni. Più si investiva e più gli interessi erano alti. E comunque in confronto a ciò che l’agente aveva messo in gioco, i suoi erano spiccioli: poteva dormire sonni tranquilli. In meno di un paio di mesi vide il capitale aumentare a dismisura. Non era raddoppiato tuttavia l’agente li aveva preavvertiti: il capitale investito era stato talmente alto che la finanziaria di Milano, per evitare di non accontentare tutti, aveva abbassato un po’ i tassi. Era un’operazione seria aveva pensato e la rendita si era dimostrata comunque piuttosto alta. Andarono avanti così uno o due anni. 

Un mattino scese al mercato per acquistare qualche cosa da mangiare e qualche cosa per il laboratorio: chiodi, colla, carbone per la piccola forgia. Scendendo vide un’ambulanza salire verso le frazioni in alto. Non se ne dette pensiero. Su alle Rocche stava un’anziana senza figli che una volta al mese veniva trovata mezza morta e portata in ospedale a Mondovì, a sirene spiegate. Le davano gli oli santi, si preparavano alla dipartita e invariabilmente tornava a casa con le sue gambe, fresca come una rosa. Al mercato regnava un’atmosfera pesante, strana. La gente tirava via, salutava malvolentieri, si riuniva in piccoli capannelli. Non trovando nessuno che si fermasse a fare due parole se ne andò al bar. Ordinò un caffè e prese il giornale dal tavolo a fianco.
Poche notizie interessanti: l’ennesimo Governo Andreotti durato due mesi, gli americani da una parte; i russi dall’altra. Almeno sembrava che le Brigate Rosse volessero chiudere l’attività. Poi scorse rapidamente una serie di colonne sino a che vide un articolo con una foto di un ponte della ferrovia.
Ai piedi del pilastro un uomo coperto da un lenzuolo. L’agente della finanziaria a cui mezza Langa aveva lasciato i soldi, uomo onesto e profondamente legato alla sua gente, si era accorto di essere stato lo strumento nelle mani di un gruppo di delinquenti. La finanziaria era fallita.
Dopo aver allettato con guadagni facili i primi che avevano raccolto i soldi, nel momento in cui i versamenti erano al loro acme, i due proprietari erano scappati all’estero col malloppo. Filippo uscì dal bar senza neppure pagare il caffè; l’aria pareva mancargli. Fu in quel momento che passò l’ambulanza a sirene spiegate. All’amico Giorgio si era fermato il cuore. 

Non ci fu verso di avere indietro i soldi. Il nostro bottaio ringraziò di non aver investito troppo in quell’affare, anche se si trattava di tanti, tanti soldi. Furono in tanti in paese a perdere gran parte dei loro risparmi. Soltanto il pastore non si era lasciato allettare:” Mio nonno diceva che i soldi facili non esistono. Che bisogna essere come i bèru: brucare piano piano, centimetro per centimetro. Se bruchi il prato bene a rejs il prato non finisce mai e ce n’è anche per gli altri che vengono”.

EMANUELE BELLA
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