NERINA di Natale Rubino
Lina e Joanot conducevano, mezzadri, la più grande cascina di Camerana: ‘r Pozeu (il Poggiolo). Da poco erano entrati nella proprietà di madama Fenoglio, a San Martino dell’anno precedente, e già la vita era ben dura da combattere, dai campi del Belbo, alle rive della Pegna, al solatio degli Aroli, al bosco dei Salvetti. Così, pure dalla parte della costera sotto Costa Sottana, lungo le capezzanie a perpendicolo tra i pochi filari d’un modesto dolcetto, le ceste del raccolto si portavano a spalla e con fatica. I figli davano una mano, ma erano giovani e fragili, per essere costretti, anche se solo in parte, alle dure fatiche che Joanot sopportava. ‘R Pozeu era una cascina ambita, ma estesa e impegnativa, per una famigliola appena sbocciata tra i calanchi di quell’aspra schiena di Langa. Gipe (Filippo) e Necio (Ernesto) frequentavano gli ultimi due anni, ma non tutti i giorni, delle elementari nel capoluogo di Villa, mentre Nuccia (Clara) li seguiva d’un anno appena, ma, essendo femmina, era anche meno assidua. Virot (Elvira) avrebbe atteso ancora un anno prima di seguire i fratelli, mentre Rène (Irene), l’ultima arrivata, succhiava il latte acquoso della madre, nonostante avesse superato, da poco, il primo anno d’età. In questa situazione, Joanot si trovava solo ad affrontare il lavoro che ‘r Pozeu richiedeva nei campi e nella stalla. Lina, oltre i figli, curava la cucina e fascellava una buona quantità di formaggette, che, passo dopo passo, portava, sistemate nella cesta di ruggi, ai mercati di Monesiglio, Niella e Murazzano, secondo il variare del prezzo. Saltuariamente, aiutava il marito davanti ai buoi, sia con l’aratro, sia per la fienagione. Dopo il quinto parto, la poverina s’era indebolita e certe vene le solcavano le gambe minacciose, tonde, turgide e bluastre come budella d’agnello. Il medico, chiamato per un eccesso di febbre, che non accennava a diminuire, vedendo certe chiazze violacee sui polpacci, se n’era molto preoccupato. Anche il sabato e la domenica Joanot non disponeva dei figli, sempre gravati da impegni: la dottrina del prete e le esercitazioni premilitari del federale. Una vera disdetta per la famiglia. Mentre il Federale, per parte sua, prometteva denunce e il fronte occidentale, Don Grosso minacciava di spaccare la chiave della vecchia canonica in testa agli assenti. “Nellino d’ra vigna”, che per una banale marachella aveva ricevuto in testa quella chiave, s’ammalò e, soltanto un anno dopo, ne morì, tra dolori e tormenti indicibili. Il referto del medico, manco a dirlo, favorì il prete. Poi tutto tacque e l’energumeno Don Grosso, nonostante fosse stato redarguito dal vescovo in persona, ritornò a proporre le sue folli arroganze. A Rène, fragile di costituzione, non bastava più il latte povero della madre. Dimagriva giorno dopo giorno e Joanot, ancora su consiglio del medico, si recò al mercato di Monesiglio per comprare una capretta fresca di parto. Nerina salì fin lassù per completare la famigliola del Poggiolo e, col suo prezioso latte, iniziò a sfamare la piccola Rène. Lina, di tanto in tanto, con il latte avanzato, riusciva a produrre qualche formaggetta in più. Tutta la famiglia beneficiava del buon latte di Nerina. La sorveglianza della capretta fu affidata a Virot. La pascolava, impedendole di mordicchiare i teneri germogli delle pianticelle novelle. Per i giorni di festa, Joanot aggiogava la mucca al carro e scendeva al molino Baldi a prendere un po’ di farina, alleggerendo il suo credito d’ammasso. Alcune volte, per leviare il lavoro di Lina, col suo carro saliva al laboratorio della pasta fresca di Millesimo. Con la proprietaria, non senza discussioni, barattava un poco di farina con maccheroni e spaghetti. A casa, sistemava quella pasta, ancora umida, su un tavolato appositamente preparato nella stanza dei “bigati” (bachi da seta), ricoprendola poi di canovacci, per favorirne la conservazione.
Anche quella volta, come sempre, Joanot sistemò la pasta sul tavolato. Pochi giorni dopo, Virot, entrando in cucina, vide Nerina scendere dalla scala, traballante e incerta sugli scalini. La capretta, zoppicando, raggiunse la vasca di fianco al pozzo e iniziò a bere in modo esagerato. Poco dopo, la pancia iniziò a gonfiarle da sembrare un otre. La povera bestia stramazzò a terra rantolante. Respirava affannosamente, come se non riuscisse a far penetrare aria nei polmoni. Joanot, richiamato dalla figlia, comprese immediatamente la gravità della situazione. Anò di corsa verso il magazzino e ritornò, poco dopo, stringendo tra le mani una lesina da calzolaio. Afferrò Nerina, la stese sul dorso, le tastò attentamente il ventre, poi, senza indugiare, penetrò la lesina profondamente nei visceri della povera bestiola. Un metodo che Joanot più volte aveva applicato per le vacche imballate, ingorde di erba medica, ottenendo, quasi ogni volta, risultati soddisfacenti. Non fu così per Nerina. La capretta, a un primo sfiato del ventre, parve riprendersi. Guardava Joanot con occhi velati, tristi e imploranti. Lo strazio durò ben poco, circa una decina di minuti. Il cuore di Nerina non resse alla compressione dei visceri e, dopo una brevissima fibrillazione, cessò di pulsare. Virot, sentendosi in colpa per non aver sorvegliato sufficientemente l’animale, ma soprattutto per non vedere la scena straziante, se ne stava nascosta oltre il muro del forno. La piccola Rène ebbe, due giorni dopo, la supplente di Nerina, che non le fece più mancare buon latte fresco. Da quel giorno, la stanza dei “bigati” ebbe una serratura vera e Virot, tranquillizzata dal padre, riprese a sorvegliare la nuova venuta.
NATALE RUBINO
Anche quella volta, come sempre, Joanot sistemò la pasta sul tavolato. Pochi giorni dopo, Virot, entrando in cucina, vide Nerina scendere dalla scala, traballante e incerta sugli scalini. La capretta, zoppicando, raggiunse la vasca di fianco al pozzo e iniziò a bere in modo esagerato. Poco dopo, la pancia iniziò a gonfiarle da sembrare un otre. La povera bestia stramazzò a terra rantolante. Respirava affannosamente, come se non riuscisse a far penetrare aria nei polmoni. Joanot, richiamato dalla figlia, comprese immediatamente la gravità della situazione. Anò di corsa verso il magazzino e ritornò, poco dopo, stringendo tra le mani una lesina da calzolaio. Afferrò Nerina, la stese sul dorso, le tastò attentamente il ventre, poi, senza indugiare, penetrò la lesina profondamente nei visceri della povera bestiola. Un metodo che Joanot più volte aveva applicato per le vacche imballate, ingorde di erba medica, ottenendo, quasi ogni volta, risultati soddisfacenti. Non fu così per Nerina. La capretta, a un primo sfiato del ventre, parve riprendersi. Guardava Joanot con occhi velati, tristi e imploranti. Lo strazio durò ben poco, circa una decina di minuti. Il cuore di Nerina non resse alla compressione dei visceri e, dopo una brevissima fibrillazione, cessò di pulsare. Virot, sentendosi in colpa per non aver sorvegliato sufficientemente l’animale, ma soprattutto per non vedere la scena straziante, se ne stava nascosta oltre il muro del forno. La piccola Rène ebbe, due giorni dopo, la supplente di Nerina, che non le fece più mancare buon latte fresco. Da quel giorno, la stanza dei “bigati” ebbe una serratura vera e Virot, tranquillizzata dal padre, riprese a sorvegliare la nuova venuta.
NATALE RUBINO