Bastian " Tre' di'" di Beppe fenocchio
Mini era della discendenza dei " Trè dì " soprannominati così poiché il “Cé” (il nonno) si tagliò due dita con la “faussia” (falce messoria).
Mini racconta:
Mio padre, Felice, era un uomo semplice e di grande fede. Sicuramente lo ammiravo per la sua laboriosità e rettitudine ma già da bambino mi sentivo diverso da lui.
Quando nonno Bastian si tagliò due dita con la “faussia”, avevo dodici anni, eravamo nel 1900 e lo adoravo.
I cavalli erano all’ombra del grande “mo” (gelso) dei Pralot e ogni tanto nitrivano perché infastiditi da qualche tafano. Seguivo il nonno a debita distanza per non essere nel raggio d’azione della falce e raccoglievo le spighe che gli sfuggivano. A dire il vero non erano molte, ma lui mi voleva vicino e il padre mi aveva incaricato di seguirlo. Gli piaceva il vino e che fosse buono e non bruschèt o vinot. Nella bota’d cossa marchiata BB, Borri Bastian, provvedeva lui stesso a mettere il vino “dla bonza bona”(della botte buona) poiché sapeva che Felice avrebbe messo quello del botalin ancora allungato con acqua .
Con il mazzolino di spighe osservavo orgoglioso quel gesto ampio e flessuoso che il nonno compieva e accompagnavo il suo canto ascoltando la musica che produceva la falce nel taglio e il mannello cadendo; lo gettava con precisione a formare Ra cheuv-(il covone). Quando fermava per legarla, poiché non voleva fomre antorna (donne attorno), di solito era compito delle donne legare i mannelli- èr giavéle, posava la falce e senza smettere di cantare si allungava, prendeva il gorèt (rami di salice), legava con quel nodo che mi aveva insegnato e riprendendo il ritmo mi sorrideva e o tacava n’atra canson (iniziava un altro canto). Aveva un ampio repertorio che io avevo ormai appreso, ma se potevo gli facevo cantare “Moretto” o “Morettina”.
Allorché la faussia era da moré (affilare) , altra fermata, bevuta , recupero d’ra co dal coé-(contenitore appeso alla cintura dei pantaloni), e nuovo gesto con musicale accompagnamento. Questo rapiva i miei occhi e le orecchie mentre nonno Bastian con maestrìa molava la lama e la rendeva lucente e tagliente. Lisciandosi i baffi mi porgeva la falce e mi invitava a sfiorare la lama dicendomi “s’a lè caoda a lè pronta a esse eizà.”(Se è calda è pronta a essere usata.)
Sfioravo con cautela ........e provavo a falciare un pugno di spighe,poi, sapendo qual era il mio compito restituivo l’attrezzo,soddisfatto di aver espletato er mè travaj.
Il rito del taglio del grano procedette in armonia fino a che il nonno mi mandò dai cavalli. Fermò il lavoro e bevve un sorso a “Garganela” si asciugò i baffi e mi ordinò:”Mini, và a bèjve là a l’ombra e dajne ‘d cò ai cavaj”( Mini vai a bere all’ombra e danne anche ai cavalli) Tron e Losn erano la nostra coppia di cavalli e sembrava avessero capito, nitrirono all’unisono.
Abbeverati i cavalli bevvi anch’io a garganella e mi sbrodolai, mi rivolsi ridendo verso il nonno e notai che si era fermato e aveva raggiunto il bordo del campo, al ritorno presso di lui vidi che il fazzoletto non era più annodato al collo bensì fasciava la mano sinistra. Osservai un laghetto rosso , ma non di vino, vicino a una cheuv -covone , nonno aveva già ripreso il lavoro.
Al termine del solco si fermò e si sedette, cosa strana per lui, mi guardò coi suoi occhi chiari ma duri e mettendo il dito indice vicino al naso per intimarmi silenzio mi mostrò, in segreto, svolgendo il fazzoletto insanguinato, la mano sinistra .Mancavano due dita, “l’èi sotraje là-li ho sotterrati là” indicandomi il bordo del campo e continuò “l’on disinfétaje col piss e col vin, la feuja ‘d lapass a férma èl sang-la foglia di lapazio ferma il sangue. Mi diede da pulire il coltello da innesto che aveva usato a eliminare la pelle e mi fece segno di falciare , come nulla fosse accaduto.
Riprese a cantare con voce forte, intonò “noi vogliam Dio”.La cantava nei momenti in cui voleva ringraziare il Signore .
Prendendomi la giavela-mannello mi guardò sorridendo e sussurrò” da ancheui noi soma i tre dì!
BEPPE FENOCCHIO