CON L'AIUTO DELLA STELLA BOERA
All'inizio dell'inverno Giuseppe aveva ricominciato a girare le stalle delle Langhe, lui si arrangiava, oltre a fare il campagnino di mestiere, a comprare dei “bocinuss” (vitelli nostrani senza pedigree) e con santa pazienza li collattava e dornava in modo da renderli pacifici e affidabili perciò pronti al lavoro agreste. Finito di dornarli li rivendeva. Giuseppe comprava gli animali d'inverno perché costavano di meno, in campagna la stagione è fredda stagione morta, poche ore di luce significano poche ore di lavoro. I contadini che dovevano rinnovare il parco buoi aspettavano la primavera, così non dovevano mantenere inutilmente animali che non potevano lavorare.
Nei primissimi anni '60 Giuseppe aveva collattato l'ultima partita importante di manzi: di una coppia in particolare si ricorda bene, li aveva comprati alla fine di Novembre per 200 mila lire, alla mira delle ciliegie li aveva rivenduti guadagnandoci un terzo.
Carneade: chi era costui?
I buoi: chi erano?
I buoi erano vitelli nostrani non di fassone: in natura il fassone non esiste, è un modo improprio di definire questa "ricchezza del territorio albese"; la vitella che noi definiamo di fassone è sterile, però da un toro della sotto razza albese e dalla mucca nostrana sovente nascono "vitelli della coscia", animali caratterizzati da un' ossatura minuta e da una grossa massa muscolare.
Le nostre mucche hanno difficoltà a partorire questo genere di vitelli. Il vitello di "fassone" non si domava o dornava per owie ragioni: non c'era convenienza economica, né effettiva, sono animali più delicati, meno resistenti, più grossi, meno adatti agli sforzi.
I vitelli destinati alla carriera di buoi all'età di tre/quattro mesi erano castrati e subito dopo iniziava l'addestramento.
Collattare significa abituare il collo al giogo, alla fatica: è sinonimo del domé piemontese, verbo quest'ultimo usato anche per indicare l'addestramento di ragazzi awiati alla mansione di bovaro. Il participio passato dornà ha la medesima radice di andernà, avere le reni rovinate a forza di fatica. Un uomo andernà, è un bonaccione, di capacità fisiche ridotte, nella migliore delle ipotesi un anchilosato. Per domare i vitelli si fissava al giogo un carico che di giorno in giorno diventava più pesante, si cominciava con
l'abituare i manzi a trainare un rabel destinato a diventare più pesante con il progredire dell'addestramento. Oppure si legava al giogo un tronco pesante,un mo’ o una ro (roverella), alberi belli e tosti; qui da noi si domavano con la lesa: è un triangolo di legno pesantissimo con la punta di ferro e serviva a togliere la neve, fino agli anni '70 le strade dei nostri paesi erano mantenute
agibili dagli abitanti.
Per collattare una coppia di bocin ci volevano due persone: per prima cosa gli animali dovevano abituarsi al giogo ma questo peso inusitato era irritante e doloroso, per renderlo più sopportabile si ammorbidiva loro la pelle del collo con una pomata a base di cardon (Cirsium arvense). Il rizoma dello stoppone (cardon) ha diverse proprietà farmacologiche: il glucoside, la tigliacina, l'inulina, la gomma, l'olio volatile che hanno effetti benefici sul vigore, l'equilibrio, l'attività sudorifera, la bile e il deflusso.
Un bue adulto era 70/80 miriagrammi (q. 7/8) e se ben addestrato lavorava anche senza conducente, anzi da come l'aratore predisponeva l'attrezzo capiva se si era al giro di boa e bisognava rigirarsi per il solco di ritorno. Se gli animali lavoravano in coppia, bisognava che fossero di dimensioni pressoché uguali, in caso contrario il peso dell'attrezzo ricadeva tutto sull'animale più piccolo e il solco era storto.
Per stabilire l'anzianità dei buoi si guardava la colorazione delle corna che diventavano bianche con il passare degli anni e la dentizione che segue regole abbastanza complesse: a grandi linee il vitello è tale fino a tre anni e due denti, al quarto è manzo e ha sei denti, al quinto anno nascono altri due dentini alla caduta dei quali diventa bue.
Normalmente i buoi erano trattati bene anche perché il loro costo non era indifferente. Dopo i lavori pesanti erano condotti nella stalla e asciugati dal sudore con un po' di “bocion” e riscaldati con una coperta. Per ripulirli della polvere che si depositava sulla schiena e sul collo, si usava la panadora e se proprio erano stati lasciati nel letame e avevano bisogno di una pulitura più profonda si usava la strija, ma un buon allevatore non doveva arrivare a tanto!
Di norma i cavalli, gli asini, i muli e i buoi si ferrano, ossia si mette loro sotto lo zoccolo una piastra di ferro, ma è cosa ben diversa ferrare un cavallo dal ferrare un bue. Lo zoccolo del cavallo è formato da una sola grande unghia, lo zoccolo del bue ne ha due di unghie. Il ferro del cavallo è semicircolare con i lati allungati, l'artigiano che cura e ferra i cavalli è detto maniscalco e per chi lo esercita, è un mestiere perché gli equini devono essere ferrati ogni mese; per i buoi c’era il “ferabeù”.
I buoi, meschini, erano ferrati una volta l'anno, in primavera prima di iniziare i lavori pesanti, solo nelle cascine più estese, dove il lavoro per questi animali era continuo, si ferravano in primavera e in estate. I "ciapin” erano le loro scarpe per poter lavorare. L'artigiano che ferrava i buoi si recava nella cascina dove alloggiavano gli animali recando con sé più ferri, sceglieva quello che meglio si confaceva al piede della bestia, limava le unghie e con una spazzola ripuliva bene lo zoccolo, infine fissava il ferro con alcuni chiodi che, conficcati inferiormente, univano la lastra alle lamelle cornee e uscivano dalla parte superiore dell'unghia. Per rendere i chiodi innocui si ribattevano. Normalmente servivano tre chiodi. Si proteggeva l'unghia esterna perché si consumava maggiormente: era uno dei punti in cui l'animale, durante gli sforzi esercitava una maggiore pressione.
A me il ciapin ricorda gli infradito.
I buoi lavoravano malvolentieri nelle ore calde, perché con il sole arrivavano le mosche e i tafani, insetti molesti per le loro punture. Anche l'umore che esce dall'occhio dei bovini era un richiamo per gli insetti: per proteggerli si applicavano loro sulla fronte la moschera, una reticella con frange. A volte si usavano anche solo fronde verdi. La cosa migliore era lavorare sul fresco. Si diceva che quando la stella boera appariva molto luminosa per poi scomparire il bifolco doveva awiarsi ad arare i campi. La stella boera è Venere, il pianeta gemello della terra, e con Mercurio, Marte, Giove e Saturno, è visibile a occhio nudo. Nella bella stagione Venere compare luminosa dopo il tramonto e va a dormire verso le tre e mezzo-quattro, sempre molto luminosa, prima dell’aurora. Questo era l’orario del bifolco per riuscire ad arare, dal mattino presto alla sera, una “giornata” piemontese (la biolca). I buoi erano alimentati con la paglia di biada che è la migliore, e con la mëss-cia . La loro carriera durava circa dieci anni, poi si teneva ancora una stagione per ingrassarli e venderli al macello: la bestia vecchia che ha finito la crescita, ingrassa facilmente. I particolari e ancora di più i mezzadri spesso non avevano i soldi per comprare i buoi finiti e prendevano gli animali in partita: ossia allevavano, crescevano il bestiame per conto dei negozianti, li collattavano e li riconsegnavano al proprietario dopo due o tre anni. Ricominciavano daccapo con una coppia di vitelloni: almeno erano sicuri di avere la solita razione di tribolazione.
Questa pratica è detta anche soccida ed era molto diffusa un tempo: è un accordo in base al quale un commerciante dava una partita di animali da allevare e si dividevano guadagni e perdite.
Il bue per molto tempo ha aiutato l'uomo nella fatica e nel lavoro. Sulle nostre colline la coltura della vite cominciò a estendersi a partire dal 18° secolo, a differenza del cavallo il bue è un animale lento, per questo il vignaiolo costruì la propria casa e la stalla vicino all'appezzamento coltivato così da non perdere troppo tempo a spostare il bue dal luogo del suo riposo al posto di lavoro. Quest'animale è stato il "trattore" dei langhetti, tirava l'aratro, il carro, l'erpice; nell'ultima guerra gli alleati sostenevano i partigiani con lanci di cibo e armi, i fucili venivano seppelliti nei campi di grano e più tardi recuperati e portati al sicuro su carri trainati da buoi.
All’inizio degli anni ’60 cominciavano a comparire i primi trattori nella piana prima che in collina: nella cinta di Pollenzo un particolare aeva comprato il suo primo trattore pagandolo 2.150.000 lire e aveva venduto il bue a 500.000 lire, un animale grosso, imponente, un casteIIo. Nelle vigne i filari stretti permettevano solo il passaggio del bue e non trovando più animali nostrani s’iniziò a comprare bestie dalla Jugoslavia: ma lavoravano di meno, avevano il pelo lungo e mal sopportavano il caldo.
La stella boera aveva assolto la sua funzione: da qui in poi sarebbe servita a rischiarare il cammino dei trifolau e dei cacciatori.
Primo Culasso e Marinella Bera – Trezzo T
(Primavera 2010: intervista concessaci da Giuseppe MARTINO del Pavaglione morto ad Agosto 2011). Intervista condotta da Primo Culasso e Marinella Bera.
PS: col senno del poi ho appreso che la dichiarazione di Giuseppe Martino, sulla vitella di “fassone” che era sterile è in parte vero, era dettata dagli usi e costumi impregnati di paura in alta LANGA (Pavaglione di Castino). Il motivo era dettato dal fatto che allora i bovini rappresentavano una voce economica importante per la magra economia rurale, e far partorire una manza di fassone, era un rischio da evitare ad ogni costo. Il pericolo di perdere manza e vitello diventava una disgrazia insostenibile. A quei tempi non si praticavano ancora i tagli cesarei. “La pau a fà 90” per cui nessuno si sognava di far partorire una manza di fassone! Ora i tempi sono cambiati…ai posteri l’ardua sentenza. Negli ultimi tempi, un dott Veterinario, “parlo di uno che ha studiato”, mi ha anche confermato che moltissime manze di fassone erano difficili da ingravidare e molte erano sterili. Pertanto il racconto descrittoci da MARTINO Giuseppe diventa un documento storico.
Collattare: addestrare al lavoro col giogo al collo piem = colaté
Dornare: addomesticare, addestrare, sderenare piem = dorné
Fassone: dellla coscia (dal franc façon = fattura, com’è fatto)
Rabel: slittone a traino da buoi
Mo: gelso
Bocion: manciata di paglia x togliere il sudore
Panadura: spazzola di erica: brusca
Strija: striglia in ferro per animali da stalla
Ferabeu: maniscalco da buoi
Ciapin: ferro o scarpa del bue o cavallo
Mëss-cia: miscela di foglie di mais, fieno, paglia
Particolare: proprietario di cascina