Giovann ëd Giampé di primo culasso
Lo chiamavano così perché la casa dove viveva, era stata di un padrone cittadino piuttosto aristocratico che si chiamava Gianpé (Gianpiero). Bisogna però ricordare che nei mappali arcaici si chiamava cascina Ginestra perché sistemata in uno svers [1] con piccolo gerbido al Soȓì [2], a ridosso della casa, pieno di ginestre
Giovann era un uomo buono e un bravo uomo insieme, nel senso pieno delle parole.
Sono casi rari, ma ci sono delle persone che nella vita ti lasciano dei ricordi talmente profondi e belli che anche con lo scorrere del tempo, che normalmente sotterra tutto, non si possono dimenticare.
Uno di questi casi riguarda Giovann ëd Giampé e sua moglie Angiolina. Sovente passano nei miei pensieri, come con una moviola, ricordi di situazioni che fanno scappare il ridere e stare un momento di buon umore. Bene!... Qui siamo anche davanti a un caso, dove la razza giocava a favore, perché simpatici e spiritosi bisogna esserlo di “natura”; poi le condizioni ambientali e sociali, ra bija [3] un po’ te la torniscono anche loro.
E quando non c’è molto per ridere, guardando Giovann tutto insieme com’era, ne esce una scuola di vita che nemmeno il seminario dei Frati Certosini riesce a sgnachete [4] dentro biòca[5]. Stò pensando alla bontà, all’amicizia vera, al bel deuit [6]. Ma quello che aggiustava tutto era il suo carattere gioviale, sereno.
Era di quella categoria di persone, che senza avere tante arsosse[7] materiali, non si contrariava più di tanto. Anzi, viveva tranquillo e lasciava vivere gli altri;… quasi sempre di buon umore ed era amico di tutti. Bisogna ammettere che se ricevevi un agriman[8] arrivava proprio da quella categoria di gente lì.
Tanto meglio di quei particolari [9] che non hanno freddo ai piedi, che non vacillano economicamente ma che sono solo capaci per loro.
Questa manciata di parole che butto giù, non sono solo la mia amicizia, la mia ammirazione, ma un modello di vita che può far ragionare un momento su quanto non valga la pena avvelenarsi l’esistenza e fare tanto bordel [10] come si costuma al giorno d’oggi.
Io ci penserei un momento sopra.
Giovann è venuto da mezzadro a “Giampé” verso il 1945. Questa cascinotta, è ficcata in un bel sorì, nel paese di Treiso vicino al Cappelletto, nel versante che quarda il Monviso. Il reddito si presentava subito scarso: poteva contare su una gran quantità di gramigna, una vignotta stanca, una giora[11] che stava in piedi per la misericordia. La povera bestia, quando era attaccata all’aratro riusciva appena a scorticare il tappeto erboso e ingarbugliato di gramigna.
Giovann arrivava da una cascina più grande che si chiamava La Palazzina nella borgata dei Marcarini, vicino a Tre Stelle. I suoi fratelli avevano deciso di trasferirsi a Torino, e Lui e Angiolina hanno dovuto cercare qualcosa di più piccolo, però sempre in campagna.
[1] Svers = esposizione in “Sorì” protetto
[2] Soȓì = solatìo
[3] Bija = testa
[4] Sgnachete = schiacciarti
[5] Biòca = testa intesa come indole
[6] Deuit = garbo, comportamento
[7] Arsosse = risorse, mezzi
[8] Agriman = un aiuto, un favore
[9] Particolari = proprietari terrieri
[10] Bordel = chiasso
[11] Giora = vacca vecchia e sterile
Mi ricordo come fosse adesso, che Giovann affittava per una balla di fumo, dal Comune 500 mtl di scarpata dello stradone: aveva poco prato e in questa scarpata Angiolina menava la vacca in pastura ed in soprappiù Giovann, un po’ con la messoria e un po’ con la falce fienaia raccoglieva la poca erba bàrca [1] per farsi una piccola scorta per l’inverno.
Il padrone della cascinotta era un “belinon” della riviera, un brav’uomo da sposare che lasciava vivere.
Per forza!... Come si costumava una volta per i mezzadri, si spartivano: le uve e il poco grano che veniva; per i beni della stalla (la vacca logora e vecchia), conigli e pollame lasciava perdere. Però per Natale c’era il patto di dargli mezza dozzina di capponi. Un’annata balorda, la volpe, proprio tre settimane prima di Natale, ha acciuffato un cappone nel pollaio in modo che Angiolina, anziché disporre di sei capponi è rimasta con cinque.
Giovann, giusto e discreto (sprovvisto di ancalau[2]), trovandosi alle strette, e visto che i vicini, pidocchi come sempre, combinazione non avevano un cappone da barattare con un gallo o un coniglio, incomincia a cabalizzare su come sbrogliarsi da questo sagrin [3]. Alla fine decide di tagliare la cresta e i bargigli a un bel gallo, grosso più o meno come il cappone mangiato dalla volpe, lo aggiunge agli altri cinque e li spedisce al padrone in riviera.
Passano le feste di Natale e di Capodanno e Giovann incomincia a cabalizzare sul gallo/cappone. Che se ne sia accorto? “Diceva con Angiolina”. Non riceveva la lettera degli auguri per le feste, insomma: nessuna notizia sui capponi.
Arriva l’estate, alla mira di battere il grano, e monsù “Belinon” viene, come tutti gli anni, a trascorrere 15 gg. in campagna da Giovann alla cascina Giampé. A una certa mira, Giovann e il padrone vengono sul discorso dei capponi. Giovann gli fa:” Le sono piaciuti i capponi? Dovevano per forza essere buoni, sono cresciuti soltanto in pastura e con meliga di otto file!...”. Monsù “Belinon” gli risponde:-” Belin figieu!... ghe n’era un che o cantava tutta a neutte da gàlo, e u desviava tutta a riviera!... Quande a ghemmo tiou u còllu emmu truvau doi cujun grossi cumme balle da biliardu!-...
Belin figliolo!... ce n’era uno che cantava tutta la notte da gallo, e svegliava tutta la riviera!... Quando gli abbiamo tirato il collo gli abbiamo trovato due coglioni grossi come palle da biliardo!...
E lì si son fatti una bella risata tra loro, e in seguito anche con i vicini informati del singolare episodio. Però il gallo se lo era sbafato.
Quello che a quei tempi là aveva fatto stravis [4] era che Giovann, anche se le finanze erano corte, era stato uno dei primi a comperare la radio. I vicini, già allora piccoli particolaȓi ma piuttosto pidocchi, si presero ben guardia di comprarsi qualcosa che servisse a svagarsi, sembrava di voler blagare [5] o di farsi vedere dagli altri, di sprecare; prenditi ben guardia!... Però facevano la processione per andare da Giovann a sentire le notizie: giornale radio, commedie scherzose, musica, canzoni! Parliamo dei tempi del 1° Festival di S. Remo, cantavano Nilla Pizzi, Carla Boni, il Duo Fasano, Gino Latilla etc.
Siccome fino a poco prima si era vissuto nello sbaruv [6] della guerra, dei partigiani, delle fucilate, finalmente questa radio aveva portato un po’ di buon’umore… per tagliar corto era una ventata di allegria, di piacere.
[1] Erba bàrca = graminacea selvatica (Brachypodium)
[2] Ancalau = osare, chiedere
[3] Sagrin = preoccupazione
[4] Stravis = stupire
[5] Blagare = esibizionismo, vanto
[6] Sbaruv = spavento
Un bel giorno “monsù Belinon” tira i brilòt [1], Giovann, lascia passare un po’ di tempo poi decide di scendere in riviera per tentare di comprare questa cascinotta di “Giampé”, che i nipoti avevano ereditato. Costoro non sapevano neanche dove si trovasse “Giampé”… In compagnia di un vicino fidato parte e va in riviera, e a forza di fare e dire li convince a vendergli il cascinotto di Giampé. Loro lo fanno più per compassione che per bisogno. Per riuscire a coprire il debito, Giovann vende una casetta che suo padre gli aveva lasciato in eredità per averlo assistito nella vecchiaia.
Il “Ciabòt” era nella Valle dei Bera vicino a Castagnole delle Lanze. Con quel ricavato e vendendo ancora qualche campo che serviva ai vicini per aggiustarsi il sito di casa, riesce a quadrare la barziga [2] e mettersi un po’ al sicuro.
Bisogna dire che lusso se ne faceva poco. Poca sàgna [3] e nessuna ristrutturazione alla casa. L’acqua si prendeva dal pozzo e da uno sòta [4]; era solamente acqua piovana e deviata dalla cunetta della strada.
Mi ricordo i servizi igienici di Giovann: dietro la casa c’era una riva alta, praticamente una rocca. Da questa rocca al muro della casa ci saranno stati due metri, lì sotto la pantalera dei coppi, senza grondaia, si andava a fare i bisogni. Quando pioveva o nevicava si faceva più in fretta. Siccome non c’era la grondaia, l’acqua piovana aveva fatto un solco, e quando veniva una bùiȓa [5] portava via tutto. Senza volerlo funzionava quasi come un water-close; però solo quando veniva la “bùira”. Bisognava anche fare attenzione, nelle veglie serali, allo scuro, si poteva pestare qualche “bisogno”, se andava bene era meglio…già allora si diceva che portava bene!...
Bisogna anche dire, che i più tanti, anche i particolari, avevano il cesso su una tampetta con un asse di traverso per accovacciarvisi sopra, sull’angolo del letamaio, nascosta da una recinzione di canne di scarto: solo i caporioni avevano lo sgabuzzino con turca sul balcone, a volte anche al piano terra con un tubo che collegava i due servizi e portava in una tampa di cemento sotterranea. Oserei dire che i cessi dello sgabuzzino, come puzza, battevano quello di Giovann. Non c’era la vaschetta dell’acqua; anche perché l’acqua andava tenuta da conto. Se non era zuppa era pan bagnato; il reddito era piccolo ma le spese erano tenute sotto controllo; e in soprappiù la gente aveva voglia, tempo e pazienza a raccontarla sul sole, sulla luna, sulla stalla, sul raccolto intercalando qualche strampalata in mezzo.
Un altro bel ricordo di Giovann è stata la sua generosità, discrezione e prudenza. Non era né un attaccabrighe nè un rompiscatole, come quelli che se ti scappava una gallina o le pecore andavano in pastura nel suo degli altri facevano scoppiare subito la guerra!... Neanche per sogno!... Anzi, bisogna dire che se ti vedeva tribulare, a scaricare un carico di fieno o di grano, o fare la grande borla[6], o falciare l’erba nel prato, sta tranquillo che non avevi bisogno di chiamarlo. Lui arrivava, sempre di buon umore, con la battuta pronta, e forte come un mulo, con il suo modo di lavorare calmo e tenace, sbrogliava la situazione. Dopo, con un boccone di colazione o una merenda, con un bicchiere di vino sopra, due balle ben raccontate, era tutto aggiustato. Si poteva proprio dire che con lui i lavori più duri e balordi si trasformavano in un passatempo.
Naturalmente, quando aveva bisogno lui, ti mettevi in quattro per dargli una mano. Quello che gli serviva di più era arare una stoppia, fare la cupola del grano (borla), attaccare tren-a [7] alla vacca logora quando il carico era più greve: Un’altra cosa che dimostra che Giovann era un sant’uomo, a quei tempi là era raro a vedersi, era il garbo e il bene che voleva ad Angiolina.
[1] Tiré ij brilòt = morire
[2] Barziga = controllo dell’economia famigliare
[3] Sàgna = darsi delle arie, superbia
[4] Sòta = buca, laghetto alla buona
[5] Bùira = improvvisa fiumana causa temporale
[6] Borla = grande bica di covoni di grano
[7] Tren-a = trainare con un altro bue
Non c’era ancora la corriera che faceva servizio per Alba. Allora lui, per non farla andare a piedi, anche lei era un po’ greva!... andava ad aiutare presso una famiglia vicina a sbrogliare alcuni lavori in campagna, sempre i più duri, e loro, in paga, al sabato, portavano Angiolina al mercato col cavallo e barroccio. Era quasi un lusso. Mi ricordo che vendeva un cestino di dolcetto matiné [1], quando c’era, oppure due polli , qualche dozzina d’uova; portava a casa una fetta di gorgonzola, due etti di acciughe, tre etti di zucchero, due etti di caffè, un piccolo cartoccio di mentini, e tre sigari per il suo Giovann.
E adesso, per non farla troppo lunga, vi racconto una bàla [2] che Giovann ha raccontato a me. Questa storia batte sull’argomento dell’igiene e della pulizia personale.
È un po’ grossolana, ma ben pazienza; cose che capitavano ai tempi che dicevo prima, perché non c’era neanche il necessario che serviva. Parliamo dei bidé, dei pannolini salva slip, degli intervallo, degli anatomici, di quelle cose lì come le chiamano oggi: “ti senti asciutta, fresca e pulita”!... e più di tutto sicura…
Maȓiondon[3], una donna grossolana , un po’ ën tërdàch[4] , anziana e sporca come un lume a petrolio, faceva economia di acqua. Non c’era l’acquedotto con i rubinetti, vedevi solo qualche tampa [5] in giro, con acqua limacciosa, piena di insetti che vi pattinavano sopra e girini. A costei le è capitata bella… Un pomeriggio, tutta mal combinata, entra nel cortile di una cascina dei vicini e il piccolo cane bastardino nervoso e scocciato, intento ad ammazzarsi le pulci accucciato nel pagliaio, perciò buono da guardia. Mica per gnente che in campagna li chiamavano “can da pajé!” Comunque Il bastardino inizia ad abbaiare e rigirarsi sempre più acceso attorno a Mariondon. Lei è rimasta immobile e senza parole!... In casa non c’era nessuno, la faccenda si metteva “grigia”. Mariondon, a un bel momento, si butta una mano in mezzo alle gambe, strappa una grossa caccola, un intreccio di peli, capolini di bardana, sporcizia e sudore solidificati detta giarëtta [6] e la tira a fiondata al cagnolino. Combinazione lo centra nella gamba posteriore sinistra. Il cagnetto, in un amen, rizza la gamba e inizia a guaire dal dolore e di corsa sparisce nella cuccia. Gli aveva rotto la gamba! Mariondon, rinfrancata dallo spavento, mentre esce dal cortile rivolta al cagnetto gli fa: -”ringrazia che ‘sta “giarëtta” era dell’anno scorso…se fosse stata dell’altr’anno rimanevi secco, stecchito-. Qui concludo e dico ciao Giovann!: ti ringrazio dei bei ricordi, della tua onestà, dell’allegra compagnia e per il sangue buono che mi hai fatto fare. Come Gepo sei stato un modello di vita.
PRIMO CULASSO
[1] Matiné = primaticcio
[2] Bàla = frottola
[3] Mariondon = stranome peggiorativo di Maria
[4] Tërdàch “ bonacciona e tarda
[5] Tampa = stagno a cielo aperto
[6] Giarëtta = caccola di sporcizia solidificata
Giovann era un uomo buono e un bravo uomo insieme, nel senso pieno delle parole.
Sono casi rari, ma ci sono delle persone che nella vita ti lasciano dei ricordi talmente profondi e belli che anche con lo scorrere del tempo, che normalmente sotterra tutto, non si possono dimenticare.
Uno di questi casi riguarda Giovann ëd Giampé e sua moglie Angiolina. Sovente passano nei miei pensieri, come con una moviola, ricordi di situazioni che fanno scappare il ridere e stare un momento di buon umore. Bene!... Qui siamo anche davanti a un caso, dove la razza giocava a favore, perché simpatici e spiritosi bisogna esserlo di “natura”; poi le condizioni ambientali e sociali, ra bija [3] un po’ te la torniscono anche loro.
E quando non c’è molto per ridere, guardando Giovann tutto insieme com’era, ne esce una scuola di vita che nemmeno il seminario dei Frati Certosini riesce a sgnachete [4] dentro biòca[5]. Stò pensando alla bontà, all’amicizia vera, al bel deuit [6]. Ma quello che aggiustava tutto era il suo carattere gioviale, sereno.
Era di quella categoria di persone, che senza avere tante arsosse[7] materiali, non si contrariava più di tanto. Anzi, viveva tranquillo e lasciava vivere gli altri;… quasi sempre di buon umore ed era amico di tutti. Bisogna ammettere che se ricevevi un agriman[8] arrivava proprio da quella categoria di gente lì.
Tanto meglio di quei particolari [9] che non hanno freddo ai piedi, che non vacillano economicamente ma che sono solo capaci per loro.
Questa manciata di parole che butto giù, non sono solo la mia amicizia, la mia ammirazione, ma un modello di vita che può far ragionare un momento su quanto non valga la pena avvelenarsi l’esistenza e fare tanto bordel [10] come si costuma al giorno d’oggi.
Io ci penserei un momento sopra.
Giovann è venuto da mezzadro a “Giampé” verso il 1945. Questa cascinotta, è ficcata in un bel sorì, nel paese di Treiso vicino al Cappelletto, nel versante che quarda il Monviso. Il reddito si presentava subito scarso: poteva contare su una gran quantità di gramigna, una vignotta stanca, una giora[11] che stava in piedi per la misericordia. La povera bestia, quando era attaccata all’aratro riusciva appena a scorticare il tappeto erboso e ingarbugliato di gramigna.
Giovann arrivava da una cascina più grande che si chiamava La Palazzina nella borgata dei Marcarini, vicino a Tre Stelle. I suoi fratelli avevano deciso di trasferirsi a Torino, e Lui e Angiolina hanno dovuto cercare qualcosa di più piccolo, però sempre in campagna.
[1] Svers = esposizione in “Sorì” protetto
[2] Soȓì = solatìo
[3] Bija = testa
[4] Sgnachete = schiacciarti
[5] Biòca = testa intesa come indole
[6] Deuit = garbo, comportamento
[7] Arsosse = risorse, mezzi
[8] Agriman = un aiuto, un favore
[9] Particolari = proprietari terrieri
[10] Bordel = chiasso
[11] Giora = vacca vecchia e sterile
Mi ricordo come fosse adesso, che Giovann affittava per una balla di fumo, dal Comune 500 mtl di scarpata dello stradone: aveva poco prato e in questa scarpata Angiolina menava la vacca in pastura ed in soprappiù Giovann, un po’ con la messoria e un po’ con la falce fienaia raccoglieva la poca erba bàrca [1] per farsi una piccola scorta per l’inverno.
Il padrone della cascinotta era un “belinon” della riviera, un brav’uomo da sposare che lasciava vivere.
Per forza!... Come si costumava una volta per i mezzadri, si spartivano: le uve e il poco grano che veniva; per i beni della stalla (la vacca logora e vecchia), conigli e pollame lasciava perdere. Però per Natale c’era il patto di dargli mezza dozzina di capponi. Un’annata balorda, la volpe, proprio tre settimane prima di Natale, ha acciuffato un cappone nel pollaio in modo che Angiolina, anziché disporre di sei capponi è rimasta con cinque.
Giovann, giusto e discreto (sprovvisto di ancalau[2]), trovandosi alle strette, e visto che i vicini, pidocchi come sempre, combinazione non avevano un cappone da barattare con un gallo o un coniglio, incomincia a cabalizzare su come sbrogliarsi da questo sagrin [3]. Alla fine decide di tagliare la cresta e i bargigli a un bel gallo, grosso più o meno come il cappone mangiato dalla volpe, lo aggiunge agli altri cinque e li spedisce al padrone in riviera.
Passano le feste di Natale e di Capodanno e Giovann incomincia a cabalizzare sul gallo/cappone. Che se ne sia accorto? “Diceva con Angiolina”. Non riceveva la lettera degli auguri per le feste, insomma: nessuna notizia sui capponi.
Arriva l’estate, alla mira di battere il grano, e monsù “Belinon” viene, come tutti gli anni, a trascorrere 15 gg. in campagna da Giovann alla cascina Giampé. A una certa mira, Giovann e il padrone vengono sul discorso dei capponi. Giovann gli fa:” Le sono piaciuti i capponi? Dovevano per forza essere buoni, sono cresciuti soltanto in pastura e con meliga di otto file!...”. Monsù “Belinon” gli risponde:-” Belin figieu!... ghe n’era un che o cantava tutta a neutte da gàlo, e u desviava tutta a riviera!... Quande a ghemmo tiou u còllu emmu truvau doi cujun grossi cumme balle da biliardu!-...
Belin figliolo!... ce n’era uno che cantava tutta la notte da gallo, e svegliava tutta la riviera!... Quando gli abbiamo tirato il collo gli abbiamo trovato due coglioni grossi come palle da biliardo!...
E lì si son fatti una bella risata tra loro, e in seguito anche con i vicini informati del singolare episodio. Però il gallo se lo era sbafato.
Quello che a quei tempi là aveva fatto stravis [4] era che Giovann, anche se le finanze erano corte, era stato uno dei primi a comperare la radio. I vicini, già allora piccoli particolaȓi ma piuttosto pidocchi, si presero ben guardia di comprarsi qualcosa che servisse a svagarsi, sembrava di voler blagare [5] o di farsi vedere dagli altri, di sprecare; prenditi ben guardia!... Però facevano la processione per andare da Giovann a sentire le notizie: giornale radio, commedie scherzose, musica, canzoni! Parliamo dei tempi del 1° Festival di S. Remo, cantavano Nilla Pizzi, Carla Boni, il Duo Fasano, Gino Latilla etc.
Siccome fino a poco prima si era vissuto nello sbaruv [6] della guerra, dei partigiani, delle fucilate, finalmente questa radio aveva portato un po’ di buon’umore… per tagliar corto era una ventata di allegria, di piacere.
[1] Erba bàrca = graminacea selvatica (Brachypodium)
[2] Ancalau = osare, chiedere
[3] Sagrin = preoccupazione
[4] Stravis = stupire
[5] Blagare = esibizionismo, vanto
[6] Sbaruv = spavento
Un bel giorno “monsù Belinon” tira i brilòt [1], Giovann, lascia passare un po’ di tempo poi decide di scendere in riviera per tentare di comprare questa cascinotta di “Giampé”, che i nipoti avevano ereditato. Costoro non sapevano neanche dove si trovasse “Giampé”… In compagnia di un vicino fidato parte e va in riviera, e a forza di fare e dire li convince a vendergli il cascinotto di Giampé. Loro lo fanno più per compassione che per bisogno. Per riuscire a coprire il debito, Giovann vende una casetta che suo padre gli aveva lasciato in eredità per averlo assistito nella vecchiaia.
Il “Ciabòt” era nella Valle dei Bera vicino a Castagnole delle Lanze. Con quel ricavato e vendendo ancora qualche campo che serviva ai vicini per aggiustarsi il sito di casa, riesce a quadrare la barziga [2] e mettersi un po’ al sicuro.
Bisogna dire che lusso se ne faceva poco. Poca sàgna [3] e nessuna ristrutturazione alla casa. L’acqua si prendeva dal pozzo e da uno sòta [4]; era solamente acqua piovana e deviata dalla cunetta della strada.
Mi ricordo i servizi igienici di Giovann: dietro la casa c’era una riva alta, praticamente una rocca. Da questa rocca al muro della casa ci saranno stati due metri, lì sotto la pantalera dei coppi, senza grondaia, si andava a fare i bisogni. Quando pioveva o nevicava si faceva più in fretta. Siccome non c’era la grondaia, l’acqua piovana aveva fatto un solco, e quando veniva una bùiȓa [5] portava via tutto. Senza volerlo funzionava quasi come un water-close; però solo quando veniva la “bùira”. Bisognava anche fare attenzione, nelle veglie serali, allo scuro, si poteva pestare qualche “bisogno”, se andava bene era meglio…già allora si diceva che portava bene!...
Bisogna anche dire, che i più tanti, anche i particolari, avevano il cesso su una tampetta con un asse di traverso per accovacciarvisi sopra, sull’angolo del letamaio, nascosta da una recinzione di canne di scarto: solo i caporioni avevano lo sgabuzzino con turca sul balcone, a volte anche al piano terra con un tubo che collegava i due servizi e portava in una tampa di cemento sotterranea. Oserei dire che i cessi dello sgabuzzino, come puzza, battevano quello di Giovann. Non c’era la vaschetta dell’acqua; anche perché l’acqua andava tenuta da conto. Se non era zuppa era pan bagnato; il reddito era piccolo ma le spese erano tenute sotto controllo; e in soprappiù la gente aveva voglia, tempo e pazienza a raccontarla sul sole, sulla luna, sulla stalla, sul raccolto intercalando qualche strampalata in mezzo.
Un altro bel ricordo di Giovann è stata la sua generosità, discrezione e prudenza. Non era né un attaccabrighe nè un rompiscatole, come quelli che se ti scappava una gallina o le pecore andavano in pastura nel suo degli altri facevano scoppiare subito la guerra!... Neanche per sogno!... Anzi, bisogna dire che se ti vedeva tribulare, a scaricare un carico di fieno o di grano, o fare la grande borla[6], o falciare l’erba nel prato, sta tranquillo che non avevi bisogno di chiamarlo. Lui arrivava, sempre di buon umore, con la battuta pronta, e forte come un mulo, con il suo modo di lavorare calmo e tenace, sbrogliava la situazione. Dopo, con un boccone di colazione o una merenda, con un bicchiere di vino sopra, due balle ben raccontate, era tutto aggiustato. Si poteva proprio dire che con lui i lavori più duri e balordi si trasformavano in un passatempo.
Naturalmente, quando aveva bisogno lui, ti mettevi in quattro per dargli una mano. Quello che gli serviva di più era arare una stoppia, fare la cupola del grano (borla), attaccare tren-a [7] alla vacca logora quando il carico era più greve: Un’altra cosa che dimostra che Giovann era un sant’uomo, a quei tempi là era raro a vedersi, era il garbo e il bene che voleva ad Angiolina.
[1] Tiré ij brilòt = morire
[2] Barziga = controllo dell’economia famigliare
[3] Sàgna = darsi delle arie, superbia
[4] Sòta = buca, laghetto alla buona
[5] Bùira = improvvisa fiumana causa temporale
[6] Borla = grande bica di covoni di grano
[7] Tren-a = trainare con un altro bue
Non c’era ancora la corriera che faceva servizio per Alba. Allora lui, per non farla andare a piedi, anche lei era un po’ greva!... andava ad aiutare presso una famiglia vicina a sbrogliare alcuni lavori in campagna, sempre i più duri, e loro, in paga, al sabato, portavano Angiolina al mercato col cavallo e barroccio. Era quasi un lusso. Mi ricordo che vendeva un cestino di dolcetto matiné [1], quando c’era, oppure due polli , qualche dozzina d’uova; portava a casa una fetta di gorgonzola, due etti di acciughe, tre etti di zucchero, due etti di caffè, un piccolo cartoccio di mentini, e tre sigari per il suo Giovann.
E adesso, per non farla troppo lunga, vi racconto una bàla [2] che Giovann ha raccontato a me. Questa storia batte sull’argomento dell’igiene e della pulizia personale.
È un po’ grossolana, ma ben pazienza; cose che capitavano ai tempi che dicevo prima, perché non c’era neanche il necessario che serviva. Parliamo dei bidé, dei pannolini salva slip, degli intervallo, degli anatomici, di quelle cose lì come le chiamano oggi: “ti senti asciutta, fresca e pulita”!... e più di tutto sicura…
Maȓiondon[3], una donna grossolana , un po’ ën tërdàch[4] , anziana e sporca come un lume a petrolio, faceva economia di acqua. Non c’era l’acquedotto con i rubinetti, vedevi solo qualche tampa [5] in giro, con acqua limacciosa, piena di insetti che vi pattinavano sopra e girini. A costei le è capitata bella… Un pomeriggio, tutta mal combinata, entra nel cortile di una cascina dei vicini e il piccolo cane bastardino nervoso e scocciato, intento ad ammazzarsi le pulci accucciato nel pagliaio, perciò buono da guardia. Mica per gnente che in campagna li chiamavano “can da pajé!” Comunque Il bastardino inizia ad abbaiare e rigirarsi sempre più acceso attorno a Mariondon. Lei è rimasta immobile e senza parole!... In casa non c’era nessuno, la faccenda si metteva “grigia”. Mariondon, a un bel momento, si butta una mano in mezzo alle gambe, strappa una grossa caccola, un intreccio di peli, capolini di bardana, sporcizia e sudore solidificati detta giarëtta [6] e la tira a fiondata al cagnolino. Combinazione lo centra nella gamba posteriore sinistra. Il cagnetto, in un amen, rizza la gamba e inizia a guaire dal dolore e di corsa sparisce nella cuccia. Gli aveva rotto la gamba! Mariondon, rinfrancata dallo spavento, mentre esce dal cortile rivolta al cagnetto gli fa: -”ringrazia che ‘sta “giarëtta” era dell’anno scorso…se fosse stata dell’altr’anno rimanevi secco, stecchito-. Qui concludo e dico ciao Giovann!: ti ringrazio dei bei ricordi, della tua onestà, dell’allegra compagnia e per il sangue buono che mi hai fatto fare. Come Gepo sei stato un modello di vita.
PRIMO CULASSO
[1] Matiné = primaticcio
[2] Bàla = frottola
[3] Mariondon = stranome peggiorativo di Maria
[4] Tërdàch “ bonacciona e tarda
[5] Tampa = stagno a cielo aperto
[6] Giarëtta = caccola di sporcizia solidificata