La corriera del mercato del venerdì di Luigi Bertorelli
Era già tutto pronto quel giorno di Venerdì. Io mi ero alzato presto fatto colazione con una capace “squela” (ciotola) di latte fresco con l’aggiunta di un po’ di caffè lungo “dra cazarola” (alla turca), una “quara” (mezza pagnotta) di pane fresco e fragrante fatto da nonna il giorno prima. Voracemente mandavo giù il tutto ma il mio pensiero era già oltre: al viaggio, alla gente che avrei incontrato, alle cose nuove che avrei visto e alla gazzosa che lo “zio” mi aveva promesso nell’osteria di “Chilen”.
La nonna aveva preparato una “cavagna” di formaggette, in un altro cestino alcune dozzine di uova, il ricavato serviva a fare provviste importanti per almeno una quindicina di giorni. Due o tre km ci separavano dalla fermata della corriera quindi dovevamo portare in spalla o a braccio la merce da vendere, la strada era in salita ma io nemmeno me ne accorgevo perché la gioia era molta. Lo zio prese in spalla la cavagna, la nonna il cestino con le uova a me il compito di portare “er fazolet da grupp” un capace tovagliolo a scacchi legato ai quattro lati (due a due) con dentro una “mica” (pagnotta) di pane, due uova dure ed un paio di mele per il pranzo, al mercato avremmo comprato un po’ di prosciutto cotto per imbottire, uno sfizio per chi si recava al mercato e di mangiare all’osteria non se ne parlava nemmeno.
Alle otto e trenta la corriera arrivò puntuale sbuffando per la lunga salita di Cagna, era già mezza piena di gente, dentro tutti gli odori possibili: di formaggio, di capre, di pollame, di guano. In alcune cavagne c’erano legate per le zampe due a due delle galline, che impaurite starnazzavano di continuo. Per fortuna che l’autista le fece mettere sul capace portapacchi della corriera. Ad ogni fermata per Cortemilia si aggiungevano uomini ed animali per la vendita, di modo che all’arrivo era zeppa oltre ogni limite. Arrivati alla fermata finale ci dirigemmo con gli altri al centro del mercato del formaggio che si svolgeva tra il ponte stradale e la pontina lungo il fiume, sul lato destro della strada verso via Roma.
Si vedeva una lunga fila di tovaglie appoggiate anche a terra su tavoloni o platò, man mano si riempivano di file ordinate di formaggio ed iniziava la trattativa per rimediare un prezzo decente… era spesso lunga e per me noiosa la tratta, ma alla fine si trovava l’accordo. Una sosta al banco dei salumi con nonna poi lei prendeva la sua strada per completare la spesa di bottoni e filo a volte dei tagli di stoffa.
Io e il nonno attraversammo la pontina, sotto il fiume era rumoroso e a me faceva paura, ma se andava lui mi sentivo abbastanza al sicuro e coraggioso, anche se avevo l’impressione che quel ponte un po’ sbandalasse... di la dal ponte non ancora scesi gli ultimi scalini sentivo già odore di pesci fritti, era un buon odore, c’era un banchetto da pescivendolo con tanto di fuoco a legna e padella d’olio per friggere i pesci, il nonno capì la mia voglia, si fece dare due coni di carta gialla pieni di pesci bei caldi, li mangiammo con spine e tutto e senza pane, erano piccoli, un gusto delizioso al quale non ero abituato.
Un salto dal banco di ferramenta per un anz’uira (falcetta) quindi tornammo indietro verso la via centrale e finalmente ci infilammo da Chilèn! In “quartein” ed cul bon e na gazosa foergia per es matot! Dice il nonno entrando, Chilèn, era il titolare dell’osteria, un omino piccolo che girava veloce tra i tavoli con la testa inclinata da un lato, questo particolare mi incuriosiva, pensavo che dovesse vedere le persone di traverso e così dopo avuta la gazzosa provai ad imitarlo andando a finire tra le gambe di un omaccio con una barbona da far paura, in una mano teneva un grosso bicchiere con il manico a metà di vino, dall’altra un toscano disfatto che ogni tanto bagnava di saliva, grugnì! Come ad ammonirmi di togliermi dai piedi per non fargli rovesciare il vino… “Luciù!” ven qui! gridò nonno, dando un occhiata di traverso all’omone che puzzava di vino e odori vari. Ubbidii e mi sedetti accanto a lui pensando di averla scampata bella da quello che sembrava il mangiafuoco di pinocchio.
Sorseggiavo la mia bevanda continuando ad osservare la sala scura di fumo. Gente che andava e veniva con cavagne e cestini e “fazzolet da grup” ormai quasi piene della spesa, gente dei paesi vicini che erano scesi a valle da Serole, Gorrino, Todocco, Olmo, Roccaverano, Castelletto Uzzone, li riconoscevo perché erano gli stessi delle fiere e feste dei singoli paesi. Quelli dell’altra parte del Bormida li conoscevo meno ma mi sentivo bene perché percepivo essere tutta gente semplice come noi della parte di qua. Dietro il banco alla cassa la moglie di Chilèn, una donna grande e grossa! Sicuramente avrebbe comandato lei in famiglia pensai, il mio non lo avrebbe mai permesso! L’uomo è l’uomo! Diceva, è quello che porta i pantaloni e che comanda! Su questo nutrivo qualche dubbio, forse lo lasciavano solo pensare, questo a me pareva.
La moglie di Chilèn teneva d’occhio gli avventori e li richiamava spesso ai doveri della cassa prima che uscissero di soppiatto, ogni tanto faceva sbuffare la vecchia macchina del caffè color rosso bruno, con in rilievo due leve dorate un po’ incatramate dai fondi, abbassandole faceva confondere il vapore con il fumo della sala. Il nonno nel frattempo aveva fatto un altro giro di vino e ce ne sarebbe scappato pure un terzo se la nonna non fosse entrata minacciosa con in mano la cavagna quasi zeppa e l’altra che stava ad indicare la porta di uscita. L’atteggiamento era quello che non ammetteva discussioni, il nonno pagò ed uscimmo in una via Roma piena di gente come un formicaio.
Intanto era giunto mezzogiorno ed avevamo appuntamento con altri, si depositava la spesa ognuno in un suo spazio nell’area dove sarebbe ripartita la corriera del ritorno, a turno qualcuno rimaneva a guardia nel mentre gli altri completavano la spesa, appoggiammo la tovaglia sul muretto, il nonno tirò fuori un coltello a manico curvo e tagliò il pane in fette spesse, la nonna intanto aveva aperto un pacchetto di carta con del prosciutto cotto, sentivo l’aroma in distanza… messo una fetta piegata tra due pezzi iniziammo a mangiare con gusto, mai prosciutto così buono ebbi modo di trovare in seguito, se non appunto quello fresco tagliato al mercato. Ben presto nonna scoprì che già avevamo rosicchiato qualcosa che io confessai quasi subito, sperando che il nonno mi perdonasse… le squame sulla maglia erano chiare prove come così la macchia d’olio sul gilè del nonno, ma fu buona perché ebbe a dire che il bere senza mangiare faceva solo male, penso che si riferisse al nonno ma sapeva benissimo che io e lui in giro qualcosa di strano lo avremmo combinato.
L’area era fornita di fontana alla quale ci dissetammo tutti, meno il nonno ed un altro compare, che asserivano che quell’acqua era grama e a sava ed marz’.. Dov andè ar gabinet’ disse nonno e l’altro si accodò, e si diressero veloci verso un locale ad angolo della piazza, nonna mi mandò dietro per non lasciarli bere ancora, ben sapendo che era inutile, non appena entrato aveva già fatto segno all’oste con il pugno, pollice e indice aperto, stava a significare un quartino, io che gli avrei potuto dire..? Facemmo appena in tempo a tornare alla corriera che aveva già aperto le porte ed in men che non si dica era piena di passeggeri, mi intrufolai veloce ad occupare due posti ma poi dovetti stare in braccio per non pagare il biglietto.
Sembrava ci fosse più gente ancora che all’andata, alcuni dovettero salire sul portapacchi con cavagne ed altre spese come sacchi e farina. Era stracolma! Su per la salita nei tornanti di Gorrino successe quello che immaginavo, la corriera tossiva e in quelli più duri bisognava scendere a spingere, un salto con mezzo in corsa di baldi giovanotti che intanto si mettevano in mostra agli occhi delle future suocere, mentre il motore sbottava vapore e tutto mi pareva una stupenda avventura, forse anche per questo che la cosa mi piaceva molto.
Arrivammo in ritardo alla fermata della Langa ma questo non aveva tanta importanza, era nel conto! Ci aspettava ancora una mezzoretta di strada a piedi che condividevamo con altri vicini e venivano ripetute le vicende della giornata di mercato. Il nonno straballava un po’ e fece tutta la strada con il rimbrotto della nonna dietro. Io complice sorridevo e pensavo fosse un qrande (zio) nonno, mentre pensavo già al prossimo viaggio al favoloso mercato di Cortemilia.
LUIGI BERTORELLI
La nonna aveva preparato una “cavagna” di formaggette, in un altro cestino alcune dozzine di uova, il ricavato serviva a fare provviste importanti per almeno una quindicina di giorni. Due o tre km ci separavano dalla fermata della corriera quindi dovevamo portare in spalla o a braccio la merce da vendere, la strada era in salita ma io nemmeno me ne accorgevo perché la gioia era molta. Lo zio prese in spalla la cavagna, la nonna il cestino con le uova a me il compito di portare “er fazolet da grupp” un capace tovagliolo a scacchi legato ai quattro lati (due a due) con dentro una “mica” (pagnotta) di pane, due uova dure ed un paio di mele per il pranzo, al mercato avremmo comprato un po’ di prosciutto cotto per imbottire, uno sfizio per chi si recava al mercato e di mangiare all’osteria non se ne parlava nemmeno.
Alle otto e trenta la corriera arrivò puntuale sbuffando per la lunga salita di Cagna, era già mezza piena di gente, dentro tutti gli odori possibili: di formaggio, di capre, di pollame, di guano. In alcune cavagne c’erano legate per le zampe due a due delle galline, che impaurite starnazzavano di continuo. Per fortuna che l’autista le fece mettere sul capace portapacchi della corriera. Ad ogni fermata per Cortemilia si aggiungevano uomini ed animali per la vendita, di modo che all’arrivo era zeppa oltre ogni limite. Arrivati alla fermata finale ci dirigemmo con gli altri al centro del mercato del formaggio che si svolgeva tra il ponte stradale e la pontina lungo il fiume, sul lato destro della strada verso via Roma.
Si vedeva una lunga fila di tovaglie appoggiate anche a terra su tavoloni o platò, man mano si riempivano di file ordinate di formaggio ed iniziava la trattativa per rimediare un prezzo decente… era spesso lunga e per me noiosa la tratta, ma alla fine si trovava l’accordo. Una sosta al banco dei salumi con nonna poi lei prendeva la sua strada per completare la spesa di bottoni e filo a volte dei tagli di stoffa.
Io e il nonno attraversammo la pontina, sotto il fiume era rumoroso e a me faceva paura, ma se andava lui mi sentivo abbastanza al sicuro e coraggioso, anche se avevo l’impressione che quel ponte un po’ sbandalasse... di la dal ponte non ancora scesi gli ultimi scalini sentivo già odore di pesci fritti, era un buon odore, c’era un banchetto da pescivendolo con tanto di fuoco a legna e padella d’olio per friggere i pesci, il nonno capì la mia voglia, si fece dare due coni di carta gialla pieni di pesci bei caldi, li mangiammo con spine e tutto e senza pane, erano piccoli, un gusto delizioso al quale non ero abituato.
Un salto dal banco di ferramenta per un anz’uira (falcetta) quindi tornammo indietro verso la via centrale e finalmente ci infilammo da Chilèn! In “quartein” ed cul bon e na gazosa foergia per es matot! Dice il nonno entrando, Chilèn, era il titolare dell’osteria, un omino piccolo che girava veloce tra i tavoli con la testa inclinata da un lato, questo particolare mi incuriosiva, pensavo che dovesse vedere le persone di traverso e così dopo avuta la gazzosa provai ad imitarlo andando a finire tra le gambe di un omaccio con una barbona da far paura, in una mano teneva un grosso bicchiere con il manico a metà di vino, dall’altra un toscano disfatto che ogni tanto bagnava di saliva, grugnì! Come ad ammonirmi di togliermi dai piedi per non fargli rovesciare il vino… “Luciù!” ven qui! gridò nonno, dando un occhiata di traverso all’omone che puzzava di vino e odori vari. Ubbidii e mi sedetti accanto a lui pensando di averla scampata bella da quello che sembrava il mangiafuoco di pinocchio.
Sorseggiavo la mia bevanda continuando ad osservare la sala scura di fumo. Gente che andava e veniva con cavagne e cestini e “fazzolet da grup” ormai quasi piene della spesa, gente dei paesi vicini che erano scesi a valle da Serole, Gorrino, Todocco, Olmo, Roccaverano, Castelletto Uzzone, li riconoscevo perché erano gli stessi delle fiere e feste dei singoli paesi. Quelli dell’altra parte del Bormida li conoscevo meno ma mi sentivo bene perché percepivo essere tutta gente semplice come noi della parte di qua. Dietro il banco alla cassa la moglie di Chilèn, una donna grande e grossa! Sicuramente avrebbe comandato lei in famiglia pensai, il mio non lo avrebbe mai permesso! L’uomo è l’uomo! Diceva, è quello che porta i pantaloni e che comanda! Su questo nutrivo qualche dubbio, forse lo lasciavano solo pensare, questo a me pareva.
La moglie di Chilèn teneva d’occhio gli avventori e li richiamava spesso ai doveri della cassa prima che uscissero di soppiatto, ogni tanto faceva sbuffare la vecchia macchina del caffè color rosso bruno, con in rilievo due leve dorate un po’ incatramate dai fondi, abbassandole faceva confondere il vapore con il fumo della sala. Il nonno nel frattempo aveva fatto un altro giro di vino e ce ne sarebbe scappato pure un terzo se la nonna non fosse entrata minacciosa con in mano la cavagna quasi zeppa e l’altra che stava ad indicare la porta di uscita. L’atteggiamento era quello che non ammetteva discussioni, il nonno pagò ed uscimmo in una via Roma piena di gente come un formicaio.
Intanto era giunto mezzogiorno ed avevamo appuntamento con altri, si depositava la spesa ognuno in un suo spazio nell’area dove sarebbe ripartita la corriera del ritorno, a turno qualcuno rimaneva a guardia nel mentre gli altri completavano la spesa, appoggiammo la tovaglia sul muretto, il nonno tirò fuori un coltello a manico curvo e tagliò il pane in fette spesse, la nonna intanto aveva aperto un pacchetto di carta con del prosciutto cotto, sentivo l’aroma in distanza… messo una fetta piegata tra due pezzi iniziammo a mangiare con gusto, mai prosciutto così buono ebbi modo di trovare in seguito, se non appunto quello fresco tagliato al mercato. Ben presto nonna scoprì che già avevamo rosicchiato qualcosa che io confessai quasi subito, sperando che il nonno mi perdonasse… le squame sulla maglia erano chiare prove come così la macchia d’olio sul gilè del nonno, ma fu buona perché ebbe a dire che il bere senza mangiare faceva solo male, penso che si riferisse al nonno ma sapeva benissimo che io e lui in giro qualcosa di strano lo avremmo combinato.
L’area era fornita di fontana alla quale ci dissetammo tutti, meno il nonno ed un altro compare, che asserivano che quell’acqua era grama e a sava ed marz’.. Dov andè ar gabinet’ disse nonno e l’altro si accodò, e si diressero veloci verso un locale ad angolo della piazza, nonna mi mandò dietro per non lasciarli bere ancora, ben sapendo che era inutile, non appena entrato aveva già fatto segno all’oste con il pugno, pollice e indice aperto, stava a significare un quartino, io che gli avrei potuto dire..? Facemmo appena in tempo a tornare alla corriera che aveva già aperto le porte ed in men che non si dica era piena di passeggeri, mi intrufolai veloce ad occupare due posti ma poi dovetti stare in braccio per non pagare il biglietto.
Sembrava ci fosse più gente ancora che all’andata, alcuni dovettero salire sul portapacchi con cavagne ed altre spese come sacchi e farina. Era stracolma! Su per la salita nei tornanti di Gorrino successe quello che immaginavo, la corriera tossiva e in quelli più duri bisognava scendere a spingere, un salto con mezzo in corsa di baldi giovanotti che intanto si mettevano in mostra agli occhi delle future suocere, mentre il motore sbottava vapore e tutto mi pareva una stupenda avventura, forse anche per questo che la cosa mi piaceva molto.
Arrivammo in ritardo alla fermata della Langa ma questo non aveva tanta importanza, era nel conto! Ci aspettava ancora una mezzoretta di strada a piedi che condividevamo con altri vicini e venivano ripetute le vicende della giornata di mercato. Il nonno straballava un po’ e fece tutta la strada con il rimbrotto della nonna dietro. Io complice sorridevo e pensavo fosse un qrande (zio) nonno, mentre pensavo già al prossimo viaggio al favoloso mercato di Cortemilia.
LUIGI BERTORELLI