Profumi e puzza
[Vite della malora alla ricerca di diamanti langhetti]
di MARINELLA BERA, A CURA DI PRIMO CULASSO
Fido era un Breton bianco con macchie marroncine, il muso puntinato di lentiggini color terra. Nella bella stagione io e mia sorella eravamo lasciate a giocare sui marciapiedi davanti casa. Eravamo molto piccole e la nostra baby-sitter era Fido: quando litigavamo il cane allarmato, passava e ripassava tra di noi fino a quando, distratte dalla sua presenza, dimenticavamo il motivo della disputa e incominciavamo un altro gioco. Fido era stato addestrato alla cerca del tartufo, anche se sostanzialmente era un cane da piuma.
Per arrivare nelle "Rocche dei Parodi" dove c'è un buon reu di trifore[1], si attraversavano una vigna e un seminato dove andava a pascolare uno stormo di pernici. Fido lo sapeva e prima di arrivare al reu si fermava, posava il bastone da trifolau di mio zio (il bastone lo portava sempre il cane) e si faceva un giro nel campo per godere la vista del suo primo amore.
In linea di massima tutti i tipi di cani sono idonei a diventare cercatori di trifore: dal pastore tedesco incrociato con il lupo, al Pointer buon cercatore con il pelo corto che d'inverno teme il freddo, ai bastardini, piccoli umili che non puzzano. I cani, siano essi destinati alla caccia, al tartufo, per la lotta alla droga o come guida per i ciechi devono essere ammaestrati già dai primi mesi di vita, appena la madre ha finito di allattarli: è importante un corretto svezzamento, i cuccioli tolti troppo presto alle madri avranno problemi caratteriali. Il carattere dell'animale è basilare: deve essere equilibrato, affettuoso, amante del gioco. L'addestratore cerca un cane che gli piaccia, s'impegnerà di più ad ammaestrarlo. L'addestramento è difficile per l'allievo come per il maestro, si dice che per fare un buon cane ci vogliono due anni, ma per fare un buon triforau ce ne vogliono dieci di anni; le doti del triforau sono passione, pazienza, determinazione e disciplina militare.
I cani sono abituati alla cerca con un tartufo vero: si fa un buco nel terreno con una cavija[2] e si nasconde la trifola, poi s'invita il cane a raspare e a togliere il tubero. Le prime volte l'interramento si fa davanti al cane, poi l'operazione è eseguita di nascosto dall'animale. A volte l'addestratore usa anche gorgonzola o salame, nelle gare di cerca sono nascosti tutti e tre questi tipi di alimenti, ma solo i cani che s'indirizzano alla buca del tartufo possono continuare la dimostrazione: non si sono fatti sviare, quindi sono cani finiti.
Si dice che il buon cane lo fa la catena perché gli animali ancora piccoli devono essere abituati al guinzaglio: un cane lasciato libero non obbedirà mai a comandi e imposizioni.
Il cane cerca il tartufo per fare un piacere all'uomo e perché sa che l'uomo, riconoscente, lo ripaga con un pezzo di pane; esso apprezza il cibo perché si ricorda della fame che ha patito durante il periodo dell' apprendimento.
In effetti, il capitolo della fame cui è sottoposto il cucciolo durante l'apprendimento è incivile e crudele, macchia l'alone d'incanto e di mistero che awolge il mondo del tartufo. Forse non è più come un tempo quando vere bestie lasciavano i cuccioli a un tale grado di fame da indurli a mangiare zucchine marce, comunque anche le persone più misericordiose non danno mai pasti copiosi agli animali in fase di addestramento.
Un' ennesima anomalia deturpa questo mondo così affascinante e duro: i bocconi awelenati che sono disseminati nei boschi, solo il cane ben addestrato che ha instaurato un rapporto esclusivo con il padrone non si lascia adescare. Le esche un tempo erano spugne imbevute di strutto e fatte rosolare in padella, ora sono bocconi di carne ripiena di diserbante.
[1] Reu da trifore = luogo boschivo, piccolo, vocato ai tartufi
[2] Cavìja = cavicchio
Si mozzavano le code per retaggio atavico: non c'era un motivo scientifico alla base di quest'uso se non quello debolissimo che il cane in cerca nel sotto bosco se la poteva scorticare, è più probabile che si mozzasse perché la bestia che aveva trovato il tartufo scodinzolava e avrebbe potuto dare colpi al trifolau che chinato al suolo, lo estraeva con lo zappettino.
Comunque la pratica è così ben radicata nell'immaginario popolare che la coda mozza fa il vero cane da trifora.
Anche il colore ha una sua influenza, molti lo scelgono bianco: un tempo, i triforau erano contadini che di giorno lavoravano e trovavano il tempo di andare a trifule solo di notte, e nell'oscurità il cane chiaro s'individua più facilmente. Si andava di notte, per non mostrare ad altri i reu di cui si era a conoscenza e perché il cane ha meno stimoli che di giorno e cerca meglio.
I cani migliori non hanno prezzo e comunque non si vendono.
Le femmine sono migliori dei maschi (ma no!) imparano prima e meglio ma hanno il grave handicap del periodo degli amori:.. la cagna và in calore ogni sei mesi e in questo periodo è svogliata, non lavora, si distrae e non obbedisce agII ordini, anzi richiama tutti i cani maschi che sono in giro.
.
La stagione delle trifore dura da settembre a marzo. Già ad Agosto si portano i cani nelle tartufaie ma le trifore estratte sono marce, la terra calda non ne favorisce la conservazione. Questi giri di ricognizione servono come ripasso per i cani fatti: dove ci sono le trifore marce a tempo debito, nasceranno anche quelle buone.
I tartufi buoni sono generati ad Agosto-Settembre e maturano tre mesi più tardi. Per avere una buona annata occorre che il barometro segni piovoso al momento della nascita per poi rimettersi al bello e permettere alla trifora di maturare. I triforau sanno che quando si levano le patate con il terreno asciutto di tartufi ce ne saranno pochi, di contro le uve poco sane marcano una buona annata.
Per noi "Ianghetti" quando si parla di trifore, ci si riferisce a quelle bianche, profumatissime, uniche, ma queste terre danno anche altri tipi: le nere, i duroni che hanno poco valore commerciale e servono da marche per i nuovi cani e i bianchetti che nascono a marzo, sono più piccole e meno colorati delle trifule bianche, ed hanno un valore di mercato basso. Da noi questi ultimi nascono sotto i pini, in Alta Langa nascono sotto le querce.
Le trifore di Dicembre sono le migliori, sono più sode e profumate, il gèlo non le rovina, anzi nel terreno freddo un tartufo già maturo può resistere anche una quindicina di giorni.
La Luna influisce su tutto, dalla germinazione alla raccolta, il periodo migliore sono i tre giorni dopo la Luna nuova e quelli dopo i quarti; si seguono le regole dei funghi dei quali le trifore sono parenti stretti: gli uni crescono sopra terra le altre sotto.
Tutte le piante possono generare tartufi, quelle più vocate sono i pioppi, r’arbra pin-a[1], la carolina, un bell'albero con la corteccia grigia, alto che qui da noi si piantava vicino alle sòte e ai piloni; il tremolo; il nocciolo selvatico; la ró [2] che dà la trifora più profumata; la gora màta (salice delle capre); il frassino, a volte anche il salice rosso e persino il rovèj[3]. Le piante micorizzate non hanno ancora dato risultati aprezzabili, per ora è ancora la natura a favorire la crescita di nuove tartufaie:
[1] Arbra pin-a = pioppo cipressino
[2] Ro’ = quercia
[3] Rovèj = rovo
le frane portano a valle terra vergine e frammenti di radici micorizzate che danno origine a nuove piante e nel giro di alcuni anni sono in grado di produrre i pregiati tuberi.
Di tartufi ne nascono meno di un tempo e sono più piccoli, alcune delle cause possono essere: la
mònocultura, i diserbanti e la massiccia meccanizzazione: un tempo a Novembre si seminava il grano con il solo ausilio dei buoi e ci volevano almeno due settimane e se il tempo era brutto, anche tre; gli uomini subito dopo la semina non andavano a tartufi e questi maturavano e marcivano lasciando nel terreno le spore.
Una volta le trifore si estraevano a mani nude per non rovinare le radici, solo per quelle nate in profondità si usava lo zappettino: le trifore possono nascere a fior di terra e fino a una profondità di mezzo metro.
Il mondo del tartufo è segreto con regole tutte sue, nessun triforau svela mai le zone che conosce anzi i triforau di vecchia scuola, negli autunni più piovosi, non si awicinano ai reu più ricchi: nel terreno bagnato le orme svelerebbero il segreto. Anche le piante tartufigene non sono abbattute e nemmeno potate: offese potrebbero non produrre più.
Il mistero che awolge il tartufo si alimenta anche grazie al periodo della raccolta, il tardo autunno, l'inverno e le nebbie, il clima imbronciato, il sole consumato e le notti lunghe e fredde, regno delle masche. Come quella notte che un triforau aveva fatto tutta la "Rocca di Rampin", era arrivato sul bricco a mezzanotte, attorno una nebbia che si tagliava con il coltello. Le pile che teneva in mano servivano a ben poco, piuttosto era guidato dalla familiarità del luogo. Nel buio pesto una prèsenza, un rumore distinto: le pile erano finite a terra, il triforau aveva il sangue raggelato, anche il cane si era accucciato in silenzio.
Ripresosi, si era awiato verso casa ripensando all'accaduto.
Forse era stato un cinghiale o forse un tasso. Forse… chi lo sa
Marinella Bera
Per arrivare nelle "Rocche dei Parodi" dove c'è un buon reu di trifore[1], si attraversavano una vigna e un seminato dove andava a pascolare uno stormo di pernici. Fido lo sapeva e prima di arrivare al reu si fermava, posava il bastone da trifolau di mio zio (il bastone lo portava sempre il cane) e si faceva un giro nel campo per godere la vista del suo primo amore.
In linea di massima tutti i tipi di cani sono idonei a diventare cercatori di trifore: dal pastore tedesco incrociato con il lupo, al Pointer buon cercatore con il pelo corto che d'inverno teme il freddo, ai bastardini, piccoli umili che non puzzano. I cani, siano essi destinati alla caccia, al tartufo, per la lotta alla droga o come guida per i ciechi devono essere ammaestrati già dai primi mesi di vita, appena la madre ha finito di allattarli: è importante un corretto svezzamento, i cuccioli tolti troppo presto alle madri avranno problemi caratteriali. Il carattere dell'animale è basilare: deve essere equilibrato, affettuoso, amante del gioco. L'addestratore cerca un cane che gli piaccia, s'impegnerà di più ad ammaestrarlo. L'addestramento è difficile per l'allievo come per il maestro, si dice che per fare un buon cane ci vogliono due anni, ma per fare un buon triforau ce ne vogliono dieci di anni; le doti del triforau sono passione, pazienza, determinazione e disciplina militare.
I cani sono abituati alla cerca con un tartufo vero: si fa un buco nel terreno con una cavija[2] e si nasconde la trifola, poi s'invita il cane a raspare e a togliere il tubero. Le prime volte l'interramento si fa davanti al cane, poi l'operazione è eseguita di nascosto dall'animale. A volte l'addestratore usa anche gorgonzola o salame, nelle gare di cerca sono nascosti tutti e tre questi tipi di alimenti, ma solo i cani che s'indirizzano alla buca del tartufo possono continuare la dimostrazione: non si sono fatti sviare, quindi sono cani finiti.
Si dice che il buon cane lo fa la catena perché gli animali ancora piccoli devono essere abituati al guinzaglio: un cane lasciato libero non obbedirà mai a comandi e imposizioni.
Il cane cerca il tartufo per fare un piacere all'uomo e perché sa che l'uomo, riconoscente, lo ripaga con un pezzo di pane; esso apprezza il cibo perché si ricorda della fame che ha patito durante il periodo dell' apprendimento.
In effetti, il capitolo della fame cui è sottoposto il cucciolo durante l'apprendimento è incivile e crudele, macchia l'alone d'incanto e di mistero che awolge il mondo del tartufo. Forse non è più come un tempo quando vere bestie lasciavano i cuccioli a un tale grado di fame da indurli a mangiare zucchine marce, comunque anche le persone più misericordiose non danno mai pasti copiosi agli animali in fase di addestramento.
Un' ennesima anomalia deturpa questo mondo così affascinante e duro: i bocconi awelenati che sono disseminati nei boschi, solo il cane ben addestrato che ha instaurato un rapporto esclusivo con il padrone non si lascia adescare. Le esche un tempo erano spugne imbevute di strutto e fatte rosolare in padella, ora sono bocconi di carne ripiena di diserbante.
[1] Reu da trifore = luogo boschivo, piccolo, vocato ai tartufi
[2] Cavìja = cavicchio
Si mozzavano le code per retaggio atavico: non c'era un motivo scientifico alla base di quest'uso se non quello debolissimo che il cane in cerca nel sotto bosco se la poteva scorticare, è più probabile che si mozzasse perché la bestia che aveva trovato il tartufo scodinzolava e avrebbe potuto dare colpi al trifolau che chinato al suolo, lo estraeva con lo zappettino.
Comunque la pratica è così ben radicata nell'immaginario popolare che la coda mozza fa il vero cane da trifora.
Anche il colore ha una sua influenza, molti lo scelgono bianco: un tempo, i triforau erano contadini che di giorno lavoravano e trovavano il tempo di andare a trifule solo di notte, e nell'oscurità il cane chiaro s'individua più facilmente. Si andava di notte, per non mostrare ad altri i reu di cui si era a conoscenza e perché il cane ha meno stimoli che di giorno e cerca meglio.
I cani migliori non hanno prezzo e comunque non si vendono.
Le femmine sono migliori dei maschi (ma no!) imparano prima e meglio ma hanno il grave handicap del periodo degli amori:.. la cagna và in calore ogni sei mesi e in questo periodo è svogliata, non lavora, si distrae e non obbedisce agII ordini, anzi richiama tutti i cani maschi che sono in giro.
.
La stagione delle trifore dura da settembre a marzo. Già ad Agosto si portano i cani nelle tartufaie ma le trifore estratte sono marce, la terra calda non ne favorisce la conservazione. Questi giri di ricognizione servono come ripasso per i cani fatti: dove ci sono le trifore marce a tempo debito, nasceranno anche quelle buone.
I tartufi buoni sono generati ad Agosto-Settembre e maturano tre mesi più tardi. Per avere una buona annata occorre che il barometro segni piovoso al momento della nascita per poi rimettersi al bello e permettere alla trifora di maturare. I triforau sanno che quando si levano le patate con il terreno asciutto di tartufi ce ne saranno pochi, di contro le uve poco sane marcano una buona annata.
Per noi "Ianghetti" quando si parla di trifore, ci si riferisce a quelle bianche, profumatissime, uniche, ma queste terre danno anche altri tipi: le nere, i duroni che hanno poco valore commerciale e servono da marche per i nuovi cani e i bianchetti che nascono a marzo, sono più piccole e meno colorati delle trifule bianche, ed hanno un valore di mercato basso. Da noi questi ultimi nascono sotto i pini, in Alta Langa nascono sotto le querce.
Le trifore di Dicembre sono le migliori, sono più sode e profumate, il gèlo non le rovina, anzi nel terreno freddo un tartufo già maturo può resistere anche una quindicina di giorni.
La Luna influisce su tutto, dalla germinazione alla raccolta, il periodo migliore sono i tre giorni dopo la Luna nuova e quelli dopo i quarti; si seguono le regole dei funghi dei quali le trifore sono parenti stretti: gli uni crescono sopra terra le altre sotto.
Tutte le piante possono generare tartufi, quelle più vocate sono i pioppi, r’arbra pin-a[1], la carolina, un bell'albero con la corteccia grigia, alto che qui da noi si piantava vicino alle sòte e ai piloni; il tremolo; il nocciolo selvatico; la ró [2] che dà la trifora più profumata; la gora màta (salice delle capre); il frassino, a volte anche il salice rosso e persino il rovèj[3]. Le piante micorizzate non hanno ancora dato risultati aprezzabili, per ora è ancora la natura a favorire la crescita di nuove tartufaie:
[1] Arbra pin-a = pioppo cipressino
[2] Ro’ = quercia
[3] Rovèj = rovo
le frane portano a valle terra vergine e frammenti di radici micorizzate che danno origine a nuove piante e nel giro di alcuni anni sono in grado di produrre i pregiati tuberi.
Di tartufi ne nascono meno di un tempo e sono più piccoli, alcune delle cause possono essere: la
mònocultura, i diserbanti e la massiccia meccanizzazione: un tempo a Novembre si seminava il grano con il solo ausilio dei buoi e ci volevano almeno due settimane e se il tempo era brutto, anche tre; gli uomini subito dopo la semina non andavano a tartufi e questi maturavano e marcivano lasciando nel terreno le spore.
Una volta le trifore si estraevano a mani nude per non rovinare le radici, solo per quelle nate in profondità si usava lo zappettino: le trifore possono nascere a fior di terra e fino a una profondità di mezzo metro.
Il mondo del tartufo è segreto con regole tutte sue, nessun triforau svela mai le zone che conosce anzi i triforau di vecchia scuola, negli autunni più piovosi, non si awicinano ai reu più ricchi: nel terreno bagnato le orme svelerebbero il segreto. Anche le piante tartufigene non sono abbattute e nemmeno potate: offese potrebbero non produrre più.
Il mistero che awolge il tartufo si alimenta anche grazie al periodo della raccolta, il tardo autunno, l'inverno e le nebbie, il clima imbronciato, il sole consumato e le notti lunghe e fredde, regno delle masche. Come quella notte che un triforau aveva fatto tutta la "Rocca di Rampin", era arrivato sul bricco a mezzanotte, attorno una nebbia che si tagliava con il coltello. Le pile che teneva in mano servivano a ben poco, piuttosto era guidato dalla familiarità del luogo. Nel buio pesto una prèsenza, un rumore distinto: le pile erano finite a terra, il triforau aveva il sangue raggelato, anche il cane si era accucciato in silenzio.
Ripresosi, si era awiato verso casa ripensando all'accaduto.
Forse era stato un cinghiale o forse un tasso. Forse… chi lo sa
Marinella Bera