La storia della “festa di San Bovo” di celeste oricco
Luigina, 95 anni compiuti il primo Aprile, e la sorella Teresina raccontano…
Nostro padre raccontava che quando era bambino, la zia che veniva dai Fiori, frazione di Trezzo Tinella, narrandogli della sua nascita, la domenica 23 maggio 1889, gli diceva che l’aveva trovato attraversando lo “rian”, nudo e piangente, sotto una pietra, mentre veniva alla festa del Pavaglione e l’aveva portato alla sua mamma. Questo per dire che la nostra piccola borgata del Pavaglione, da tempo immemorabile, ospitava nel mese di Maggio la prima festa patronale in calendario: la “festa di San Bovo”. L’affluenza era enorme, tante erano le persone che dalle cascine, dalle frazioni e dai paesi vicini si riversavano qui: parenti, amici, abitanti di Benevello, Treiso, Mango, Cappelletto, Trezzo… In quell’epoca la borgata Pavaglione era abitata da numerose famiglie, vantava la presenza del “Ristorante dei cacciatori”, della bottega “sale e tabacchi”, oltre ad alcuni servizi essenziali: Il calzolaio “Gamba ‘d pin”, che la gamba l’aveva lasciata nella trebbiatrice, il barbiere “Pocio”, che si portava incollato addosso questo nome, lui e tutta la sua discendenza, perchè suo padre, andando al mercato, aveva rovesciato il cestino dei “pocio” che teneva in spalla, la sarta “Laidin” che per tutta la vita aveva cucito vestiti e borsette per i bambini della prima Comunione. Alla frazione di San Bovo erano rimasti i servizi più prestigiosi: la chiesa e la scuola. Era al Pavaglione quindi che per la festa di Maggio arrivava Natale Paroldo da Borgomale e piazzava il suo bel ballo a palchetto con il tendone. La festa durava due giorni. Le donne andavano alla “messa prima” e poi si rintanavano in cucina a preparare il pranzo. Gli uomini iniziavano già il sabato pomeriggio sfidandosi a pallapugno davanti alla grande cascina dei Corino, la pantalera fissata ad un albero, noi ragazzini pronti a recuperare i palloni giù dai “rivas”, per guadagnare una piccola mancia. La gara alle bocce si improvvisava nei luoghi più improbabili. Chi aveva il pallino sceglieva se farle correre sulla strada sterrata o sul sentiero verso il bosco, tra le pietre e la ghiaia che ne ostacolavano il percorso, affidando alla fortuna gran parte del gioco, senza trascurare che l’esperienza e l’abilità nel capire quale verso avrebbe imboccato la boccia, alla fine avrebbe avuto la meglio. Le gare continuavano fino alla domenica sera, con noi bambini piazzati sulla grande pietra, alla cima della strada verso i Baracchi, per non perderci lo spettacolo. Per essere dispensati dal pascolo il dì di festa, il giorno precedente avevamo procurato alle pecore il “brot”, le fascine di rami con foglie da rosicchiare, così da poterci scatenare già dal mattino sul palchetto del ballo deserto, e giocare fin quando nel pomeriggio cominciava ad affollarsi. Ma l’attrazione più ghiotta era la sera, quando, al suono della fisarmonica, arrivava “la bambola”, la più bella ed elegante ragazza di Benevello, accompagnata dal fratello, che apriva le danze con il valzer “Vieni con me, io non amo che te, un amore più grande non c’è. Non ho un quattrin, ma che importa se alfin con l’amor vinceremo il destin. Un bicchier d’acqua e un bacio ardente, questo è l’amor per chi non ha niente. Un bicchier d’acqua, un bacio ed un cuor basta per fare l’amor!” Le “corente” si susseguivano animatamente fino a tardi e tra l’una e l’altra sul palco veniva tirata una corda, sotto la quale si infilavano uno alla volta i giovanotti che pagavano il biglietto d’ingresso. Per innumerevoli anni la festa andò a gonfie vele, fin quando, con il trasferimento della bottega e del ristorante a San Bovo, negli anni trenta, la festa al Pavaglione si esaurì. Solamente negli anni ottanta, il nuovo parroco proveniente da Castino, Don Toso, raccogliendo un buon gruppo di volontari, riuscì a ripristinare i festeggiamenti nel mese di Agosto, a San Bovo, nella bella piazza della chiesa. Si diede inizio alla sagra della “costinata” con balli, gare, giochi che alcuni di voi forse ricordano. Da qualche anno anche questa festa è andata esaurendosi, forse perché nelle poche persone rimaste si è esaurita la voglia di fare festa…Ma un ricordo di quei giorni nella piazza è rimasto. La “zona gialla”, ai piedi della gradinata della chiesa, forse avrà richiamato la vostra curiosità…Ebbene, quella era la pista da ballo, voluta così per facilitare lo scorrere abile e veloce delle suole, la sera della domenica di agosto, con l’orchestra piazzata sui gradini, la fisarmonica di Michele Corino tornato dall'America,i banchi della chiesa sistemati fuori, il parroco che dava inizio ai canti con la sua bella voce da tenore. Un ricordo ormai.
Ma chissà che sulla festa di San Bovo non sia detta l’ultima parola…
CELESTE ORICCO
La fotografia di Enrico Necade è tratta dal libro “POSTI della MALORA”
Nostro padre raccontava che quando era bambino, la zia che veniva dai Fiori, frazione di Trezzo Tinella, narrandogli della sua nascita, la domenica 23 maggio 1889, gli diceva che l’aveva trovato attraversando lo “rian”, nudo e piangente, sotto una pietra, mentre veniva alla festa del Pavaglione e l’aveva portato alla sua mamma. Questo per dire che la nostra piccola borgata del Pavaglione, da tempo immemorabile, ospitava nel mese di Maggio la prima festa patronale in calendario: la “festa di San Bovo”. L’affluenza era enorme, tante erano le persone che dalle cascine, dalle frazioni e dai paesi vicini si riversavano qui: parenti, amici, abitanti di Benevello, Treiso, Mango, Cappelletto, Trezzo… In quell’epoca la borgata Pavaglione era abitata da numerose famiglie, vantava la presenza del “Ristorante dei cacciatori”, della bottega “sale e tabacchi”, oltre ad alcuni servizi essenziali: Il calzolaio “Gamba ‘d pin”, che la gamba l’aveva lasciata nella trebbiatrice, il barbiere “Pocio”, che si portava incollato addosso questo nome, lui e tutta la sua discendenza, perchè suo padre, andando al mercato, aveva rovesciato il cestino dei “pocio” che teneva in spalla, la sarta “Laidin” che per tutta la vita aveva cucito vestiti e borsette per i bambini della prima Comunione. Alla frazione di San Bovo erano rimasti i servizi più prestigiosi: la chiesa e la scuola. Era al Pavaglione quindi che per la festa di Maggio arrivava Natale Paroldo da Borgomale e piazzava il suo bel ballo a palchetto con il tendone. La festa durava due giorni. Le donne andavano alla “messa prima” e poi si rintanavano in cucina a preparare il pranzo. Gli uomini iniziavano già il sabato pomeriggio sfidandosi a pallapugno davanti alla grande cascina dei Corino, la pantalera fissata ad un albero, noi ragazzini pronti a recuperare i palloni giù dai “rivas”, per guadagnare una piccola mancia. La gara alle bocce si improvvisava nei luoghi più improbabili. Chi aveva il pallino sceglieva se farle correre sulla strada sterrata o sul sentiero verso il bosco, tra le pietre e la ghiaia che ne ostacolavano il percorso, affidando alla fortuna gran parte del gioco, senza trascurare che l’esperienza e l’abilità nel capire quale verso avrebbe imboccato la boccia, alla fine avrebbe avuto la meglio. Le gare continuavano fino alla domenica sera, con noi bambini piazzati sulla grande pietra, alla cima della strada verso i Baracchi, per non perderci lo spettacolo. Per essere dispensati dal pascolo il dì di festa, il giorno precedente avevamo procurato alle pecore il “brot”, le fascine di rami con foglie da rosicchiare, così da poterci scatenare già dal mattino sul palchetto del ballo deserto, e giocare fin quando nel pomeriggio cominciava ad affollarsi. Ma l’attrazione più ghiotta era la sera, quando, al suono della fisarmonica, arrivava “la bambola”, la più bella ed elegante ragazza di Benevello, accompagnata dal fratello, che apriva le danze con il valzer “Vieni con me, io non amo che te, un amore più grande non c’è. Non ho un quattrin, ma che importa se alfin con l’amor vinceremo il destin. Un bicchier d’acqua e un bacio ardente, questo è l’amor per chi non ha niente. Un bicchier d’acqua, un bacio ed un cuor basta per fare l’amor!” Le “corente” si susseguivano animatamente fino a tardi e tra l’una e l’altra sul palco veniva tirata una corda, sotto la quale si infilavano uno alla volta i giovanotti che pagavano il biglietto d’ingresso. Per innumerevoli anni la festa andò a gonfie vele, fin quando, con il trasferimento della bottega e del ristorante a San Bovo, negli anni trenta, la festa al Pavaglione si esaurì. Solamente negli anni ottanta, il nuovo parroco proveniente da Castino, Don Toso, raccogliendo un buon gruppo di volontari, riuscì a ripristinare i festeggiamenti nel mese di Agosto, a San Bovo, nella bella piazza della chiesa. Si diede inizio alla sagra della “costinata” con balli, gare, giochi che alcuni di voi forse ricordano. Da qualche anno anche questa festa è andata esaurendosi, forse perché nelle poche persone rimaste si è esaurita la voglia di fare festa…Ma un ricordo di quei giorni nella piazza è rimasto. La “zona gialla”, ai piedi della gradinata della chiesa, forse avrà richiamato la vostra curiosità…Ebbene, quella era la pista da ballo, voluta così per facilitare lo scorrere abile e veloce delle suole, la sera della domenica di agosto, con l’orchestra piazzata sui gradini, la fisarmonica di Michele Corino tornato dall'America,i banchi della chiesa sistemati fuori, il parroco che dava inizio ai canti con la sua bella voce da tenore. Un ricordo ormai.
Ma chissà che sulla festa di San Bovo non sia detta l’ultima parola…
CELESTE ORICCO
La fotografia di Enrico Necade è tratta dal libro “POSTI della MALORA”