Gepo dëȓ Bȓich di PRIMO CULASSO
Tra le misteriose e selvatiche rëpie[1] collinari di Langa, tagliate fuori dal mondo, forse per sentirsi più al sicuro dagli spaventi delle guerre e dai banditi, sono spuntate delle case sparse qua e là, abbastanza nascoste nella vegetazione, dove la gente tribulando, viveva e tirava avanti senza fare tanto bordel [2].
In cima a un bricco fatto a panettone, abbastanza alto, c’era la casa di Gepo dëȓ Bȓich[3], che era vicina al Bricco del Rastrello, coperto da boschi di castagni cedui che alla stagione giusta, oltre alle bȓòpe[4] davano anche ottimi funghi.
Per arrivare da Gepo prendevi dalla piazzetta dietro la chiesa del Caplèt ,[5] passavi per una strada profonda e scura persino di giorno, poiché un’ombra bruneggiante e fresca, data da due sponde laterali alte, con folte gaggie, rovi, sanguini e vitalba, che il sole con la sua luce, non si metteva neanche in testa di trapanare.
Dopo questa erta salita, arrivavi al Gé [6] e poi con l’ultimo abbrivio su un balordo pendio, proprio alla punta del bricco c’era la casa di Gepo. Questa strada c’è ancora adesso, ed è quasi sempre stata battuta a piedi; nell’ultimo pezzo adesso a piedi si tribola a passare:… hanno fatto razza in un giaciglio, rovi cagnin [7] mescolati con ogni sorta di zizzania, che se non eri ben attrezzato ti aggiustavano il cuoio di gambe e caviglie…
In questa strada profonda, che avevo menzionato prima, nel mese di Luglio, alla sera, quando c’era l’afa, vedevi una gran quantità di lucciole a svolazzare lampeggianti, guidate da un concerto di grilli e un silenzio tutt’attorno totale da farti rimanere incantato.
Nel periodo che il mio nipotino Andrea aveva due anni e mezzo fino ai tre anni e mezzo, l’ho portato qualche sera a fargli vedere questo spettacolo; lui ha provato tanta soddisfazione a rincorrere le lucciole e poi a chiedermi il perché e il per come su simile fenomeno.
Io gli ho spiegato quello che mi è venuto in mente, e messo alle strette dai suoi tanti perché, in un momento di calma, ho iniziato lì al buio a farmi delle domande:… sono arrivato finalmente a pensare che queste lucciole fossero un segnale divino, cioè anime dei nostri morti che ci salutavano gioiose, di santi vaganti, di meno santi che tribulavano a inquadrarsi lassù da “zio Pietro” nelle nuova residenza, dei misteri della natura.
Alla fine, non essendo in grado di sbrogliarmi dalla matassa troppo intricata per me, ho finito di concludere, da solo, che ci fosse davvero una mescolanza di tutte queste belle sensazioni provate.
Però subito dopo, zitto zitto, in quella silenziosa pace, non una foglia che si muovesse, ho pregato i miei morti, mentre Andrea, senza accorgersi delle mie cabale, continuava a scorazzare dietro le lucciole.
Ritornando a Gepo, era del 1903 ed è morto nel 1978.
[1] Rëpie = rughe, pieghe
[2] Bordel = schiamazzo, frastuono
[3] Gepo dër Brich = Giusèp del Bricco
[4] Bròpe = pali per la vigna
[5] Caplèt = frazione di Trezzo Tinella (Cn)
[6] Gé = cascina a metà collina (Ghiandaia in piemont)
[7] Cagnini = rovi striscianti assai spinosi
E’ diventato famoso per diverse cose che adesso vi racconto. Prima di tutto era una sagoma di persona che solo a vederlo ti faceva rimanere lì stupito; vestito di velluto, con un foular al collo, cappello con una piuma di marenca fissata nel nastro, un sigaro toscano in bocca, due baffi furbi che gli davano ghëddo [1] di un gatto che sonnecchia con gli occhi socchiusi, ma pronto a tirarti fuori la battuta giusta ad ogni mira.
A parlare aveva un atteggiamento tutto suo: una specie di cantilena piana, calda, placida, con qualche cribbiona [2] in mezzo, che a sentirlo trasmetteva divertito buon umore.
Il suo mestiere principale era il meccanico in senso ampio che in quei tempi là, nei paesi di Langa, voleva dire: fabbro, lattoniere, vetraio, elettricista, stagnino, idraulico. Insomma: capace a fare tutto.
Martellava le mazze degli aratri, aggiustava le ziamente di campagna, era in gamba a mettere a posto macchine del verderame e pompe per lo zolfo. In soprappiù accudiva a quella manciata di campagna che possedeva nei dintorni del bricco. Siccome gli piaceva tanto la compagnia della gente, pasticciava anche a fare il settimino, a combinare qualche burla o marachella, a marcare le sorgenti d’acqua (rabdomante), persino a prevedere il buon fine o no di un matrimonio, il bacialé [3], però sempre interrogando Pierina [4]. Questo pendolino “Pierina era attaccato a una catenella che Gepo, tutto concentrato, lo teneva in mano fra due dita, ne osservava le rotazioni e le oscillazioni che faceva: se oscillava in qua o in là, se ruotava a sinistra oppure a destra; lui da questi movimenti capiva la maciavelica [5] e dopo un po’, con tanta calma e misterioso atteggiamento ti dava le sue impressioni e previsioni. La gente gli dava parecchio da mente.
Mi hanno raccontato che una volta è andato a marcare l’acqua sorgiva per fare un pozzo giù nella Beria sotto Borgomale. A una certa mira, Pierina si è messa a girare forte e Gepo, affannato e contento insieme, grida sottovoce al suo cliente: c’è una corrente d’acqua qui sotto che mi butta per terra… tienimi se no mi fa andare a gambe all’aria! La sorgente c’era davvero lì vicino, Gepo aveva percepito i segnali di Pierina.
Un’altra volta c’era un giovane langhetto a cui piaceva una ragazza dei Roeri. Costui era timido ma ciononostante le aveva dato appuntamento all’ora tale sulla Piazza della Rocca a Bra. Gepo intervista Pierina e fa al giovanotto: non andar matto ad andare a Bra che tanto lei non c’è!
Il ragazzo si intestardisce, poi fa a Gepo : ma come… non c’è? Come fai a esserne così sicuro? Parte, va a Bra per l’ora concordata e la ragazza non c’era davvero.
Altre volte usava Pierina per dirti se l’annata aveva un lieto fine oppure no, se trovavi il portafoglio smarrito o rubato al mercato, se un matrimonio si faceva o no… diffatti Gepo, siccome girava nelle case per dritto e per traverso, si prestava anche a fare il bacialé , ma sempre con molta discrezione e competenza, tenendo in conto anche gli interessi reciproci delle famiglie coinvolte.
Un’altra risorsa di Gepo era quella di fare anche un po’ di settimino. Soltanto che sovente non capivi se scherzava o faceva sul serio e tu rimanevi lì con la bocca larga per comprendere le sue intenzioni. Questo atteggiamento dipendeva anche dal deuit [6] del suo interlocutore: qualcuno si dimenticava pure di ringraziarlo per il buon esito della cura. In questo modo Gepo non aveva grosse obbligazioni e non sbagliava mai… era sempre a posto.
[1] Ghëddo = stile, garbo, portamento
[2] Crìbbiona = lieve, innocua bestemmia
[3] Bacialé = paraninfo
[4] Pierina = nome dato a un piccolo orologio da taschino
[5] Maciavelica = macchiavello
[6] Deuit = garbo
State a sentire questa! Alla festa del Cappelletto, con il ballo a palchetto, servizio catering con grossa tenda su palchetto rettangolare, barachin [1] per mangiare, un mucchio di gente, Gepo, accovacciato su una scala di legno a pioli, che serviva a salire sul fienile, trova baȓivel [2] che tutto serio gli chiede: sto tribulando e soffro tanto a causa di due emorroidi grosse come il pugno di una mano. Per piacere, Gepo, puoi darmi un po’ di sollievo con qualche pomata delle tue? Gepo, altrettanto serio, ci pensa su, poi gli fa: vieni domani mattina sul presto e non allargare la voce, mi raccomando!, andiamo sul Bricco del Rastrello, però devi presentarti solo con una canottiera addosso, lì c’è un campo di stoppie e cardon [3]. Ti siedi per terra, io ti prendo per i piedi e ti trascino fino al fondo del campo; vedrai tu stesso che giunti laggiù le tue emorroidi saranno sparite.
Comunque al di là dello scherzo, che serviva molto sul morale della gente, bisogna dire che Gepo conosceva bene le erbe e lì insieme la biòca [4] delle persone, pertanto ti faceva delle ricette personalizzate, così tutti erano soddisfatti e nesssuno poteva fare i confronti con gli altri. In Langa non è questo che la gente vuole? Essere diversi dagli altri e sempre meglio del tuo vicino? Altro che le balle della socializzazione o delle cooperative?!...
Io penso che anche qui, Gepo, abbia usato la morale giusta, adatta ai tempi: fare ciò che sai e ciò che puoi per la gente, piuttosto di stare con le mani in mano, poi si vedrà!... Tanto, a drizzare le gambe ai cani è sempre stato un cattivo affare.
A fare gli altri mestieri: meccanico, fabbro, idraulico, vetraio, stagnino/magnino era più che in gamba. In primavera, quando li vigne incominciavano a germogliare, la gente faceva la processione per andare sul Bricco da Gepo .
Lui li metteva tutti in careggiata, inoltre per la fofa [5] del lavoro non aveva mai tempo ad aggiustare i conti. Passavano anni per poter aggiustare e lì insieme, penso che qualche credito finisse in gloria. Anche questo fatto mette a fuoco il tipo di personaggio che era Gepo.
Aveva soltanto un ardȓiss [6] che non ti dico!...tutto in soqquadro, a rabèl [7]!... tutto a muccchi!... solo lui riusciva a sbrogliarsi.
I momenti più belli, noi giovani stavamo a sentirlo stupiti, era quando lui raccontava sulle masche!...
Aveva una maniera di descriverle, un “ghëddo”: con parole, gesti, persino dei versi, con tanta convinzione che ti immedesimavi con lui ed era come se le vedessi lì davanti. Questa era l’impressione di noi ragazzi.
Queste masche si vedevano sempre di notte e quasi sempre il libro del comando ce l’avevano donne vecchie, brutte, sdentate, dimesse e cattive come la cacca degli ubriachi, che vivevano in casupole isolate, frose [8] ! Bisogna aggiungere, sempre sui misteri notturni di masche: il rantolo della civetta, le scorribande di lepri e cinghiali, il fischare forte del vento tra canneti e strette gole, il rumore per la caduta dalle piante di rami secchi agitati dal vento, le voci del lupo fatte da cani isolati in risposta al lamento delle volpi in calore nei rittani delle rocche; tutto questo in un totale silenzio notturno.
[1] Barachin = tipo ballo a palchetto rettangolare
[2] Barivel = giovane vanitoso
[3] Cardon = stoppioni, scardaccioni
[4] Biòca = testa
[5] Fofa = agitazione, affanno
[6] Ardris s= disordine (in senso figurato)
[7] A rabè l= in disordine
[8] Frose = luogo isolato, misterioso, nel bosco
Gepo che camminava a piedi a montare grondaie, sostituire vetri presso cascine e stalle, tornando a casa di notte, sempre solo, dopo qualche bicchiere in più di dolcetto mescolato al piacere di contarle bene, aveva un fracco di occasioni di percepirle e immaginarle.
Una storia simpatica è quella della masca lunga (alta): una sera Gepo ritornava a casa dopo cena dal “Giaccone” (borgata di Treiso), era nel mese di gennaio, con molta neve per terra ma così gelata che reggeva un bue. Dal Canta [1] Gepo prende per il Bricco dei Bastianotti (toponimo derivato da Sebastiano); c’era una luna piena che sembrava essersi seduta sul Bricco della Torretta la quale faceva chiaro come di giorno. Lui aveva una berretta di lana in testa che gli aveva fatto Pinota sua moglie: Fatto stà che questa luna lo prendeva ‘d cantèl [2] (da est verso ovest) e lui vedeva alla sua destra la propria ombra molto allungata. Con la berretta in testa ha ravvisato la sagoma di una donna molto alta che gli rompeva l’anima. Questa figura, dietro i tratti della scarpata di gaggie di sinistra spariva, poco più in là ricompariva. Gepo è stato preso dall’affanno e dalla paura… gli son venuti i sudori, agguanta un grosso bastone dalla vigna e inizia a bastonare sulla sua ombra lunga… Dopo aver tribulato del buono e del meglio senza risultato, raggiunge finalmente casa sua; spaventato chiama Pinota e le racconta la vicenda. Pinota cerca di calmarlo, gli dà un cicchetto di branda [3] forte, finalmente un po’ calmato va a dormire con lo sbaruv [4] addosso.
Ah!... dimenticavo la fisarmonica: Quando si faceva un po’ di festa in famiglia, Gepo non poteva mancare!... sempre disponibile e elemento di attrazione, con la sua fisarmonica accompagnava chi cantava e quando si desiderava ballarne due, Gepo suonava quest’aria qui e poi basta, e ricominciava sempre la stessa aria da capo:
Set fassin-e ‘nt’ ën fossà sette fascine in un fosso
zù dau rivàss son rivolà giù dal rivasso (riva) sono rotolate
adess vàgh a cà carià adesso vado a casa carico
hòmmi povȓ òm andova son-i rivà mio Dio!... povero uomo dove sono arrivato
báica…mi torn cominsé guarda… io ricomincio da capo
e gnich gnòch e gnich gnach e gnich gnòch e gnich gnach
os gavàva nan da ‘s rivàss. Non si toglieva più dal rivasso.
Ma questo piccolo concerto bastava, con del buon dolcetto nelle costole, a creare la baraonda giusta dell’allegria e da simile bordel le orecchie non facevano più caso alle stonature sia del canto sia della musica.
Per concludere dico: grazie Gepo del tuo esempio; vino e grappe aronatizzate con cornioli, more, rose, mele cotogne, bacche di ginepro, etc… , ricette di ogni sorta… ma il tutto al meglio che la Natura può donarci, mai nessuna sfida balorda e sensa senso…. E dopo: il tuo modo di parlare, di gesticolare con la gente, raccontare quattro balle, stare di buon umore!...
Altro che oggi!... che ci sono solo più i soldi che contano, la televisione che ti stordisce e non ti lascia più pensare, ragionare con la tua testa. Ne senti di quelle!: tipo i ricambi dell’uomo, la vacca pazza, la pecora fotocopiata, le zucche incrociate con il maiale. Per favore!... lasciamo che la pecora s’innamori del montone, che il montone sia chiazzato… magari con il mantello un po’ inzaccherato di escrementi; l’agnellino sarà incrociato, però robusto, tenace, nervoso e testardo, ma crescerà goregn [5], genuino e massiccio.
Oh! Che bello la semplicità!... lasciamo a Nostro Signore, alla Natura, che tirino avanti per loro conto, e noi, gente di terra, impariamo di nuovo a vivere senza troppe ambizioni… ammiriamo le cose belle e sane.
Proprio Gepo ci ha insegnato a tenerci con la gente, discorrere e a contarla con un po’ di comica e senza malizie. Rispettiamo la natura… lasciamo che rimanga al suo “naturale”.
Ciao Gepo, grazie tante per la scuola di vita.
PRIMO CULASSO 25.3.1998
[1] Canta = borgata di Treiso adiacente le Rocche dei 7 fratelli
[2] ‘d Cantèl = di sbieco, di fianco
[3] Branda= grappa
[4] Sbaruv= spavento
[5] Gorègn= tenece, forte
Foto di Gepo di Enrico Necade