Le Corriere dei F.lli Fogliati - Com’era una volta il mercato
ad ALBA di primo culasso
Questo racconto che mi metto a scrivere lo butto giù perché è un ricordo della mia gioventù, dei fratelli Fogliati, di Mascarin rè dei bigliettari, e delle scurse[1] che bativo[2] a piedi per andare ad Alba quando facevamo mezzo e mezzo cioè andata a piedi e ritorno in Corriera.
Nel 1947 la ditta Bert di Mango a armët[3] ai fratelli Fogliati di Castiglione Tinella l’azienda di pullman così composta: un “Ceriano” con avviamento a manoja[4], più piccolo, più o meno con 20 posti e due Alfa Romeo, un 450 con 30 posti interni, bagagliera e muso lungo tipo Trerò o per capirci meglio tipo Ardea Lancia, e un 500 con 35 posti interni, sempre con bagagliera e muso lungo però tipo 1100B Fiat (parlo della sagoma del motore, esterno alla cabina). Questo tanto per farmi capire da quelli più giovani, erano macchine anni ’40.
Adesso vi parlo del 1948/49 perché è quando i f.lli Fogliati hanno iniziato a fare la linea del Cappelletto (Trezzo T.).
I Fogliati erano cinque fratelli e una sorella. Io ho conosciuto Sandro, Guido e Mario.
I bigliettari erano: Mascarin, Albertino Renzo e Luigi che faceva pure l’autista ed era, si diceva, anche socio perché cognato di Sandro. Gli altri due fratelli, Gino era medico a Torino, l’altro, Pinòto, aveva un magazzino a Castiglione T. di granaglie e roba per la campagna e una sorella che faceva la pittrice.
Una cosa che oggi farebbe stȓavoghe[5] a pensarci, son passati sessant’anni e passa, è l’assoluta sicurezza di allora: la corriera sempre stracarica sia dentro che sulla bagagliera. Però bisogna dire che non è mai capitato un graffio a nessuno e mai uno che si sia lamentato. A pensarci sopra eravamo della forza degli indiani, di certe zone, che abbiamo ancora visto in TV solo qualche anno fa. Gli uomini erano seduti sulla bagagliera con le gambe a bamblon[6] giù verso i finestrini e in mezzo, dietro dalla schiena, cavàgne, spòrte, agnellini e capretti legati con cravattini ò fȓisa[7] stracciati, cavagnini di uova e tome, qualche cavagnino di dolcetto matiné [8]. Qualcuno aveva anche le trifole in sacchetti di canapa o della Poggi Astengo (marca di zolfo): allora ce n’era ‘n përfond [9].
[1] scurse = scorciatoie
[2] bativo = battevamo, percorrere in lungo e in largo
[3] a armët = cedere, rimettere
[4] manoja = manovella o maniglia
[5] stravoghe = che desta meraviglia, stravedere
[6] a bamblon = penzolanti
[7] fȓisa = fettuccia
[8] matiné = primaticcio
[9] perfond = tante, gran quantità
Le donne, allora non si costumavano ancora ‘ȓ bȓàje[1], salivavano dentro alla corriera.
Il prezzo del biglietto era: da Mango 150 £., dal Cappelletto 100 £., da Como d’Alba 50 £. Allora non esisteva la formula andata/ritorno, quindi per ritornare a casa era la stessa musica. Ciò accadeva anche perché molti contadini, al mattino, che non erano ancora frusti dal lavoro, l’andata se la facevano a piedi. A quei tempi le arsosse[2]erano poche: in sostanza quello che si comperava al mercato, viaggio compreso, doveva costare sempre meno di quello che si portava a vendere. Toccava tenere da conto, nen sghèiȓé[3], fare tanta economia e guardare di tirare avanti la barziga[4] senza sfigurare.
La corsa del Cappelletto faceva: Mango, Moretta di Neive, Trezzo T., la “Vignetta”, Canta, Cappelletto, Como d’Alba, Alba, con qualche fermata meno nota antȓames[5].
Come avevo già detto prima, tanti passeggeri “l’andata” ad Alba se la facevano a piedi per avanzare i soldi: mettiamo 100 £., che allora erano veramente soldi. Più o meno, per quei tempi, era come comperare ½ etto di caffè che lo facevano bastare per chissà quando. Allora si usava durante la sossman-a[6] il caffè di orzo bruciato sul coperchio della stufa, o al massimo con un rozzo bruciacaffè. Si usava anche, per colorarlo, “l’olandese” ricavato dal melasso di canna da zucchero. Si faceva anche il caffè col solo “olandese”, quello derivato dalla cicoria. Quello di melasso era comunque un paciocco come la pece greca, fatto a stick e tagliabile a fettucce, disgustoso, senza forze e lontano dal dare brio e nervosimo.
Quello buono si faceva solo quando moriva un congiunto oppure veniva il prete a benedire la casa o l’arrivo inaspettato di qualche can gȓòss[7] che aveva perso la strada.
Mio papà buonanima mi ha contato, a proposito dell’andata a piedi, due aneddoti che rendono bene l’idea delle vite della malora che si facevano allora.
La prima riguarda un tale che partito da S. Donato di Mango, con un agnellino in spalla, si è fatto S. Donato, Pilone dei Chiarle, Pian Tinella, Cappelletto, e dopo questa sgambassà…[8], si è ancora congiunto con quelli del Cappelletto giù dalla scursa[9] dei Bassi (Rocche dei Sette Fratelli); l’agnello che portava in spalla, non ha più tenuto e ha fatto i suoi bisogni sulla schiena di questo povero diavolo. Costui non ha fatto una piega…, ha tirato dritto su Alba, ha fatto il suo mercato senza curarsi di niente.
[1] bràje = brache, pantaloni
[2] arsosse = risorse
[3] sgheiȓé = sprecare
[4] barziga = bazzica, amministrazione, economia della famiglia
[5] antȓames = tra una fermata e l’altra
15 sossman-a = gg feriali
[7] can gȓòss = persona importante, uno in sù
[8] sgambassà = camminata lunga e faticosa
[9] scursa = scorciatoia, sentiero taglia curve
Altro che adesso che si parla solo più di igiene… del tantum rosa, di salviette umide e profumate, del “sogno del tempo (scritto in inglese!)” di cambiarsi subito corpetto e camicia,…per non fare brutta figura! Ma allora ci andava la “scorta”?! non si costumava così, toccava tenere da conto e non farsi vedere (non darsi delle arie)!... Adesso, in compenso abbiamo un fracco di inquinamento, di veleni, l’igiene personale è diventata un fatto più di tutto commerciale, quasi incomprensibile, se non hai il vocabolario “inglese” in tasca. Come la mettiamo!?...
L’altra storia riguarda uno che portava, con due bastoni sulle spalle anfrissà[1] nel manico di una cavagnetta piena bandata di uova. Com’è andata… com’è venuta, o ȓ’è angambaȓàsse[2] in una pietra, oppure in una radice in superficie e di traverso, ha perso il calibȓio[3] e la cavagnetta è volata per terra. Subito gli è presa la disperazione, ha fatto un baȓon[4] di frittata. Per non sghèiȓé tutta ’sta roba, si è inginocchiato vicino al mucchio e si è messo a cuccare, ciuciare la bagna, smonindne[5] alla compagnia viandante e ai nuovi passanti. Questo per farvi capire a che mira eravamo arrivati, era subito dopo la guerra: siamo sempre nel 1948 e lì intorno.
Partendo dal Cappelletto le scorciatoie per Alba erano due; la più battuta era quella d’Ambàss[6] cioè: Canta, Bassi (attaccata sulla dx delle Rocche dei Sette Fratelli direz. Alba), S. Rocco Seno d’Elvio, Bricco della Chiesa, Carpaneta, Madonna degli Angeli, scorc. Gino Rocca, Alba.
L’altra faceva: ëȓ Rianëtte[7](sulla sx delle rocche sette fratelli direzione Alba) cioè la Màcia[8], Meruzzano, Rianëtte, S. Rocco e si congiungeva con quella che ho appena citato. Quelli che arrivavano da Mango o S. Donato prima del Cappelletto dovevano aggiungere Pilone dei Chiarla, Riondino, Pian Tinella, Chinassi, Gé, Cappelletto.
Questo racconto l’ho messo giù per una ragione, per me, importante: prima di tutto per ricordare i F.lli Fogliati che erano brave persone; con Mario che ci vedevamo di più, quando negli ultimi anni ci trovavamo ad Alba mi parlava volentieri della storia delle Corriere e mi chiedeva sempre dei miei vecchi, di come stavano. Mascarino che ho ritrovato e che mi ha aiutato ad accaparrare questi ricordi. Di fatto, davanti alla mia casa paterna c’era la fermata della Corriera denominata “da Managgio”. Fermata intermedia tra Canta e Cappelletto a cui facevano riferimento le borgate Meruzzano, Ginotti, Bossania e le poche cascine circostanti.
[1] anfrissà= infilzati
[2] angambaȓesse = inciampare
[3] calibȓio = equilibrio
[4] baȓon = mucchio
[5] smonindne , smon-e = offrendone, offrire
[6] d’ambàss = ai Bassi (toponimo, località)
[7] ëȓ rianëtte = avallamenti delle colline, piccoli rittani (toponimo)
[8] màcia = la macchia (toponimo)
Guido Fogliati che a quei tempi là, 1955, mi ha dato una mano ad entrare in Ferrero: era amico del dott. Beppe Cillario, tanto una brava persona, nipote della Signora Piera Cillario mamma del Signor Michele Ferrero. Per farla breve mi disse di andare da FERRERO e chiedere del dott Beppe Cillario. Così feci e il mattino seguente ero assunto.
L’altro motivo è quello che per me e per quelli della mia tàja[1], i Fogliati hanno rappresentato l’inizio di una stagione di vita fatta non solo più di malora e di sbaruv[2] provati nel fine guerra ma di un cambiamento importante e significativo.
Finalmente si son viste le porte e le finestre a sbajesse[3] con fessure sempre più ampie, dove la luce e la speranza hanno incominciato a farci vedere che tempo faceva fuori. Prima di allora, per i giovani, non si sognava che potesse avviarsi il cambiamento verso il meglio. Col senno del poi però penso che da allora ad oggi sia mancato il senso della misura.
La gente, abituata a tirare la cinghia in ogni senso, si è ribellata al malessere con una reazione opposta senza valutare bene i confini del buon senso. In pratica ha trasmesso alle due generazioni seguenti dei principi in cui veniva cancellata ogni forma di rinuncia e sacrificio. Insomma: dare acqua alle corde, gridò Brasca di S. Remo in P.zza S. Pietro, se nò si sfilacciano e l’obelisco crolla; come dire che chi tira troppo la corda la strappa. Tuttavia abbiamo vissuto 2/3 di secolo più che bene.
Come diceva quel tale: è stata vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza.
Concludo ricordando ancora che lo s-ciancon[4] di vita cròja[5], lo voglio mettere in mente ai giovani di oggi, ricordandolo anche ai meno giovani, che allora, senza tanti driveȓi [6] e smoȓe [7] abbiamo imparato una scuola di vita, che oggi, m’ancal [8] a dire non c’è più neanche l’insegna.
PRIMO CULASSO
[1] tàja = taglia, età, quasi coetanei; anche tassa agraria
[2] Sbaruv = spavento
[3] sbajé = aprire una pota o una finestra da rimanere socchiusa , come sbadigliare
30 s-ciancon = strappo, ultimo sforzo
[5] cròja = grama, cattiva
[6] driveȓi = capriccio, uzzolo
[7] smoȓe = giocattoli
[8] ancalesse = osare, essere decisionisti (V. Ancalau di Bosia CN)
Nel 1947 la ditta Bert di Mango a armët[3] ai fratelli Fogliati di Castiglione Tinella l’azienda di pullman così composta: un “Ceriano” con avviamento a manoja[4], più piccolo, più o meno con 20 posti e due Alfa Romeo, un 450 con 30 posti interni, bagagliera e muso lungo tipo Trerò o per capirci meglio tipo Ardea Lancia, e un 500 con 35 posti interni, sempre con bagagliera e muso lungo però tipo 1100B Fiat (parlo della sagoma del motore, esterno alla cabina). Questo tanto per farmi capire da quelli più giovani, erano macchine anni ’40.
Adesso vi parlo del 1948/49 perché è quando i f.lli Fogliati hanno iniziato a fare la linea del Cappelletto (Trezzo T.).
I Fogliati erano cinque fratelli e una sorella. Io ho conosciuto Sandro, Guido e Mario.
I bigliettari erano: Mascarin, Albertino Renzo e Luigi che faceva pure l’autista ed era, si diceva, anche socio perché cognato di Sandro. Gli altri due fratelli, Gino era medico a Torino, l’altro, Pinòto, aveva un magazzino a Castiglione T. di granaglie e roba per la campagna e una sorella che faceva la pittrice.
Una cosa che oggi farebbe stȓavoghe[5] a pensarci, son passati sessant’anni e passa, è l’assoluta sicurezza di allora: la corriera sempre stracarica sia dentro che sulla bagagliera. Però bisogna dire che non è mai capitato un graffio a nessuno e mai uno che si sia lamentato. A pensarci sopra eravamo della forza degli indiani, di certe zone, che abbiamo ancora visto in TV solo qualche anno fa. Gli uomini erano seduti sulla bagagliera con le gambe a bamblon[6] giù verso i finestrini e in mezzo, dietro dalla schiena, cavàgne, spòrte, agnellini e capretti legati con cravattini ò fȓisa[7] stracciati, cavagnini di uova e tome, qualche cavagnino di dolcetto matiné [8]. Qualcuno aveva anche le trifole in sacchetti di canapa o della Poggi Astengo (marca di zolfo): allora ce n’era ‘n përfond [9].
[1] scurse = scorciatoie
[2] bativo = battevamo, percorrere in lungo e in largo
[3] a armët = cedere, rimettere
[4] manoja = manovella o maniglia
[5] stravoghe = che desta meraviglia, stravedere
[6] a bamblon = penzolanti
[7] fȓisa = fettuccia
[8] matiné = primaticcio
[9] perfond = tante, gran quantità
Le donne, allora non si costumavano ancora ‘ȓ bȓàje[1], salivavano dentro alla corriera.
Il prezzo del biglietto era: da Mango 150 £., dal Cappelletto 100 £., da Como d’Alba 50 £. Allora non esisteva la formula andata/ritorno, quindi per ritornare a casa era la stessa musica. Ciò accadeva anche perché molti contadini, al mattino, che non erano ancora frusti dal lavoro, l’andata se la facevano a piedi. A quei tempi le arsosse[2]erano poche: in sostanza quello che si comperava al mercato, viaggio compreso, doveva costare sempre meno di quello che si portava a vendere. Toccava tenere da conto, nen sghèiȓé[3], fare tanta economia e guardare di tirare avanti la barziga[4] senza sfigurare.
La corsa del Cappelletto faceva: Mango, Moretta di Neive, Trezzo T., la “Vignetta”, Canta, Cappelletto, Como d’Alba, Alba, con qualche fermata meno nota antȓames[5].
Come avevo già detto prima, tanti passeggeri “l’andata” ad Alba se la facevano a piedi per avanzare i soldi: mettiamo 100 £., che allora erano veramente soldi. Più o meno, per quei tempi, era come comperare ½ etto di caffè che lo facevano bastare per chissà quando. Allora si usava durante la sossman-a[6] il caffè di orzo bruciato sul coperchio della stufa, o al massimo con un rozzo bruciacaffè. Si usava anche, per colorarlo, “l’olandese” ricavato dal melasso di canna da zucchero. Si faceva anche il caffè col solo “olandese”, quello derivato dalla cicoria. Quello di melasso era comunque un paciocco come la pece greca, fatto a stick e tagliabile a fettucce, disgustoso, senza forze e lontano dal dare brio e nervosimo.
Quello buono si faceva solo quando moriva un congiunto oppure veniva il prete a benedire la casa o l’arrivo inaspettato di qualche can gȓòss[7] che aveva perso la strada.
Mio papà buonanima mi ha contato, a proposito dell’andata a piedi, due aneddoti che rendono bene l’idea delle vite della malora che si facevano allora.
La prima riguarda un tale che partito da S. Donato di Mango, con un agnellino in spalla, si è fatto S. Donato, Pilone dei Chiarle, Pian Tinella, Cappelletto, e dopo questa sgambassà…[8], si è ancora congiunto con quelli del Cappelletto giù dalla scursa[9] dei Bassi (Rocche dei Sette Fratelli); l’agnello che portava in spalla, non ha più tenuto e ha fatto i suoi bisogni sulla schiena di questo povero diavolo. Costui non ha fatto una piega…, ha tirato dritto su Alba, ha fatto il suo mercato senza curarsi di niente.
[1] bràje = brache, pantaloni
[2] arsosse = risorse
[3] sgheiȓé = sprecare
[4] barziga = bazzica, amministrazione, economia della famiglia
[5] antȓames = tra una fermata e l’altra
15 sossman-a = gg feriali
[7] can gȓòss = persona importante, uno in sù
[8] sgambassà = camminata lunga e faticosa
[9] scursa = scorciatoia, sentiero taglia curve
Altro che adesso che si parla solo più di igiene… del tantum rosa, di salviette umide e profumate, del “sogno del tempo (scritto in inglese!)” di cambiarsi subito corpetto e camicia,…per non fare brutta figura! Ma allora ci andava la “scorta”?! non si costumava così, toccava tenere da conto e non farsi vedere (non darsi delle arie)!... Adesso, in compenso abbiamo un fracco di inquinamento, di veleni, l’igiene personale è diventata un fatto più di tutto commerciale, quasi incomprensibile, se non hai il vocabolario “inglese” in tasca. Come la mettiamo!?...
L’altra storia riguarda uno che portava, con due bastoni sulle spalle anfrissà[1] nel manico di una cavagnetta piena bandata di uova. Com’è andata… com’è venuta, o ȓ’è angambaȓàsse[2] in una pietra, oppure in una radice in superficie e di traverso, ha perso il calibȓio[3] e la cavagnetta è volata per terra. Subito gli è presa la disperazione, ha fatto un baȓon[4] di frittata. Per non sghèiȓé tutta ’sta roba, si è inginocchiato vicino al mucchio e si è messo a cuccare, ciuciare la bagna, smonindne[5] alla compagnia viandante e ai nuovi passanti. Questo per farvi capire a che mira eravamo arrivati, era subito dopo la guerra: siamo sempre nel 1948 e lì intorno.
Partendo dal Cappelletto le scorciatoie per Alba erano due; la più battuta era quella d’Ambàss[6] cioè: Canta, Bassi (attaccata sulla dx delle Rocche dei Sette Fratelli direz. Alba), S. Rocco Seno d’Elvio, Bricco della Chiesa, Carpaneta, Madonna degli Angeli, scorc. Gino Rocca, Alba.
L’altra faceva: ëȓ Rianëtte[7](sulla sx delle rocche sette fratelli direzione Alba) cioè la Màcia[8], Meruzzano, Rianëtte, S. Rocco e si congiungeva con quella che ho appena citato. Quelli che arrivavano da Mango o S. Donato prima del Cappelletto dovevano aggiungere Pilone dei Chiarla, Riondino, Pian Tinella, Chinassi, Gé, Cappelletto.
Questo racconto l’ho messo giù per una ragione, per me, importante: prima di tutto per ricordare i F.lli Fogliati che erano brave persone; con Mario che ci vedevamo di più, quando negli ultimi anni ci trovavamo ad Alba mi parlava volentieri della storia delle Corriere e mi chiedeva sempre dei miei vecchi, di come stavano. Mascarino che ho ritrovato e che mi ha aiutato ad accaparrare questi ricordi. Di fatto, davanti alla mia casa paterna c’era la fermata della Corriera denominata “da Managgio”. Fermata intermedia tra Canta e Cappelletto a cui facevano riferimento le borgate Meruzzano, Ginotti, Bossania e le poche cascine circostanti.
[1] anfrissà= infilzati
[2] angambaȓesse = inciampare
[3] calibȓio = equilibrio
[4] baȓon = mucchio
[5] smonindne , smon-e = offrendone, offrire
[6] d’ambàss = ai Bassi (toponimo, località)
[7] ëȓ rianëtte = avallamenti delle colline, piccoli rittani (toponimo)
[8] màcia = la macchia (toponimo)
Guido Fogliati che a quei tempi là, 1955, mi ha dato una mano ad entrare in Ferrero: era amico del dott. Beppe Cillario, tanto una brava persona, nipote della Signora Piera Cillario mamma del Signor Michele Ferrero. Per farla breve mi disse di andare da FERRERO e chiedere del dott Beppe Cillario. Così feci e il mattino seguente ero assunto.
L’altro motivo è quello che per me e per quelli della mia tàja[1], i Fogliati hanno rappresentato l’inizio di una stagione di vita fatta non solo più di malora e di sbaruv[2] provati nel fine guerra ma di un cambiamento importante e significativo.
Finalmente si son viste le porte e le finestre a sbajesse[3] con fessure sempre più ampie, dove la luce e la speranza hanno incominciato a farci vedere che tempo faceva fuori. Prima di allora, per i giovani, non si sognava che potesse avviarsi il cambiamento verso il meglio. Col senno del poi però penso che da allora ad oggi sia mancato il senso della misura.
La gente, abituata a tirare la cinghia in ogni senso, si è ribellata al malessere con una reazione opposta senza valutare bene i confini del buon senso. In pratica ha trasmesso alle due generazioni seguenti dei principi in cui veniva cancellata ogni forma di rinuncia e sacrificio. Insomma: dare acqua alle corde, gridò Brasca di S. Remo in P.zza S. Pietro, se nò si sfilacciano e l’obelisco crolla; come dire che chi tira troppo la corda la strappa. Tuttavia abbiamo vissuto 2/3 di secolo più che bene.
Come diceva quel tale: è stata vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza.
Concludo ricordando ancora che lo s-ciancon[4] di vita cròja[5], lo voglio mettere in mente ai giovani di oggi, ricordandolo anche ai meno giovani, che allora, senza tanti driveȓi [6] e smoȓe [7] abbiamo imparato una scuola di vita, che oggi, m’ancal [8] a dire non c’è più neanche l’insegna.
PRIMO CULASSO
[1] tàja = taglia, età, quasi coetanei; anche tassa agraria
[2] Sbaruv = spavento
[3] sbajé = aprire una pota o una finestra da rimanere socchiusa , come sbadigliare
30 s-ciancon = strappo, ultimo sforzo
[5] cròja = grama, cattiva
[6] driveȓi = capriccio, uzzolo
[7] smoȓe = giocattoli
[8] ancalesse = osare, essere decisionisti (V. Ancalau di Bosia CN)