ATTILIO E TERSILLA, da una fotografia una storia di Giampiero Murialdo
Prologo
"Superstiti sull'uscio" è una famosa fotografia di Piero Masera degli anni '60. Vi sono ritratti Attilio e Tersilla con il loro cane. Aldo Agnelli aveva conosciuto il pastore Attilio, alla fiera di Cravanzana ed era andato a trovarlo a casa sua, di là da Bormida, sulla strada per Perletto. Aldo Agnelli così racconta "Dopo 4-5 anni ci ho accompagnato Piero: gli ho detto, "vieni, ti faccio conoscere un bel tipo, se è ancora vivo". L'abbiamo trovato sulla porta insieme al cane e Piero gli scattò la fotografia... Appena visto mi ha subito riconosciuto : io gli ho presentato Piero e lui ci ha invitati ad entrare in casa, una stanza buia non ancora raggiunta dall'elettricità, che prendeva luce solo da una piccola finestra quadrata piena di ragnatele, con pavimento e soffitto in legno tutto nero, galline che scappavano da ogni parte, una stufa accesa che faceva anche piacere perché si era appena a fine inverno. Ci siamo seduti lì e gli ho chiesto: "Come và?" Lui mi dice "Quest'inverno non sono stato bene. Credevo di morire. Avevo sempre freddo e mal di testa e le ossa rotte e poi non mangiavo più niente" Allora è intervenuto Piero che, essendo dottore, gli ha chiesto: "Ma non ha chiamato un medico?. Lui si è risentito e gli ha detto: "Ma io il medico non l'ho mai chiamato in tutta la vita. Mi sono sempre curato da solo e ho più di ottant'anni. Ho chiamato mia moglie e le ho detto: "Tersilla, fammi una scodella di brodo caldo e poi mi vai a prendere il caprone nella stalla e me lo porti qui" (E indicò un angolo dove c'era un giaciglio, un sacco di foglie di mais e varie vecchie coperte dello stesso colore delle pareti). Ho fatto coricare il caprone e mi sono coricato vicino a lui. Sono stato due giorni e due notti a dormire vicino al caprone. La terza mattina mi sono svegliato, mi sono alzato e stavo bene, ma il caprone era morto!" (Tratto dal volume Piero Masera, antologia fotografica)
La ricerca
La fotografia di Piero Masera (datata 1964-65, secondo la testimonianza di Aldo Agnelli), da tempo m’incuriosiva. Non so perché guardandola, sentissi, a distanza di più di cinquant’anni, questo lontano irresistibile richiamo. Avvertivo il dovere di trovare a tutti i costi questa casa, quest’uscio superstite.
E così, l’11 febbraio, una domenica pomeriggio partii sulle tracce di Attilio e Tersilla, tra Cortemilia e Perletto. Non so perché avessi la sensazione di poter trovare l’abitazione, a lato della stradina che dalla Pieve e Monteoliveto, si inerpica subito verso l’alto , oltrepassando il Rian d’la Madona, per poi andare verso Perletto. Ma mi sbagliavo. Percorsi circa due chilometri ed incontrai un simpatico ottantenne sull'aia della sua cascina, con un enorme capannone vicino. Nel cortile si agitavano due o tre cani volpini, che non smettevano d’abbaiare tirando ai miei garretti.
Bisognava alzare la voce per sentirci ed il vecchio mi disse che sì, Tiliu e Tersilla li aveva conosciuti , nell’altro secolo, ma che stavano da tutta un’altra parte, in un ciabòt cadente, lungo il rittano, in un posto dove d'inverno non batteva mai il sole. La gente del posto a quei tempi ogni tanto portava loro perfino da mangiare. Erano senza figli e poverissimi: possedevano solo due capre ed il caprone.
A quel punto gli riferii proprio la storia del caprone raccontata da Attilio ai due famosi fotografi.
Il vecchio fece una faccia un po' così, mi fissò e poi ridacchiando : “ Il bèru sarà morto di fame, dopo due giorni senza mangiare... non perché ha preso su di sé la malattia di Tiliu”
Ridemmo forte assieme e ci salutammo con un cenno.
Quel pomeriggio di febbraio la sera ormai calava velocemente ed il grigio della giornata si stava tramutando in un tramonto rosso arancio, insperato, ma che sentivo beneaugurante nonostante il fallimento dell’impresa.
La sera stessa feci rivedere su Facebook, nel gruppo Alta Langa ultima frontiera, la famosa foto “Superstiti sull’uscio” di Piero Masera e molti ed interessati furono i commenti.
Questa volta fu Nando Gallo a rimanere folgorato dall’immagine. Queste le sue parole, il giorno successivo:
“Giampiero, so esattamente dove si trovano i ruderi del ciabot di Tersila, nel rio che termina alla Pieve di Cortemilia. Bisogna risalire a piedi per circa 30-40 minuti zigzagando sul torrente, conviene aspettare almeno un mese poi se vuoi ti posso accompagnare. Da piccolo, dai terreni di mio nonno li sentivo e li potevo anche vedere. I cani abbaiavano sempre, può essere per via della fame. Ho ricordi nettissimi di quella coppia, mi sono sempre chiesto come abbiano potuto vivere cosi a lungo, in un posto del genere, con una capra ed alcune galline.....chiamami se ci vorrai fare un salto.
Altri interventi di conferma furono questi “Ciao Nando io ricordo benissimo Tigliu e Tersila, il venerdì andavano al mercato a Cortemilia, sempre con il loro cane. Arrivavano dal bosco e, passavano dietro casa nostra per recarsi in paese. Al ritorno ripassando rimediavano sempre un piatto di minestra calda con un bicchiere di vino.... ormai era un rituale, arrivavano all' ora di pranzo. Si sedevano fuori nell'aia e consumavano quella minestra fumante, con gli occhi pieni di riconoscenza. Ricordo ancora quello sguardo. Poi ripartivano per il loro ciabòt che era in mezzo al bosco come ben descrivi tu Nando ..... Li chiamavano " lingere" e, ricordo la pelle di Tersila sempre molto unta.... l' acqua per loro era considerata un' optional.... infatti mio papà non voleva che ci avvicinassimo troppo noi bambine. Ho solo visto ora questo post , mi ha suscitato ricordi incredibili e indelebili..... Tutto sommato loro non avrebbero voluto una vita diversa da quella. Erano sempre insieme, non ricordo di averli mai visti separati.
Grazie Giampiero, non sapevo ci fosse una foto ad immortalarli nella loro " casa "
Gabriella Gallo
“Me li ricordo da bambina che qualche volta erano passati a salutare i miei. Mi riferisco a 50 anni fa. E mi ricordo che mio padre mi raccontava che vivevano in un casotto. Tiglio avendo il caprone, chiedeva a chi aveva delle capre, se gliele portava per la fecondazione. Era un modo per racimolare qualche soldo. Dopo diversi anni, ormai vedovo, l ho visto in casa di riposo a Cortemilia “
Franca Turcone
La storia stava prendendo una piega decisamente interessante. Attilio e Tersilla emergevano dai ricordi di molte persone prendendo vita, forma e carattere.
Presi immediatamente contatto con Nando Gallo, che ancora non conoscevo di persona, pur sapendo essere un famoso scultore di pietre d’arenaria di Langa ed il 15 marzo, mercoledì pomeriggio, finalmente c’incontrammo in piazza Savona a Cortemilia. L’incontro fu subito caloroso: Nando è un tipo, alto, muscoloso, allenato e soprattutto molto simpatico. Sentimmo subito che l’essere in due quintuplicava l’entusiasmo di buttarci in questa ricerca. Per lui era stata un’emozione indescrivibile: tutto si sarebbe sognato meno che rivedere su una pagina Facebook, a distanza di tanti anni la foto di Tiliu e Tersila. Il suo passato di bambino ritornava prepotentemente a galla , risentiva profumi, voci, colori e, passando a fianco della grande cascina in cui era venuto alla luce, percepivo fortemente la sua emozione.
Ci dirigemmo al passo atletico di Nando, verso i campi e i boschetti che dominano dall’alto il rittano. Poi in un attimo ci buttammo giù a capofitto seguendo una stradina, presto trasformatasi in traccia, che si calava al torrente. Arrivati su una roccia, Nando si fermò, e m’indicò un punto laggiù, per me improbabile, perché mascherato dai rami delle roverelle.
“Ecco è proprio laggiù il loro ciabòt, non lo intravedi? Venivamo qua, io ed i miei fratelli, e li osservavamo, li sentivamo discutere, certe volte a voce alta, Tiliu e Tersila, lui ogni tanto beveva e Tersilla lo riprendeva…”
La discesa fu ardua. A causa di una frana il sentiero si perdeva nelle tracce dei caprioli e dei cinghiali. Ma al fondo della ripidissima riva, al di là del torrente, i resti di un ciabòt col tetto completamente sfondato, si ergevano ancora.
Ci girammo attorno, entrammo dentro ma non c’erano né tracce della scala esterna, né del numero civico, né dell’intonaco… Fu quasi subito evidente che non si trattava della casa fotografata da Masera.
La delusione tra di noi si percepiva ma eravamo ancor troppo eccitati – la discesa era stata abbastanza pericolosa – per arrenderci.
Con Nando ci risentimmo per telefono qualche giorno dopo: aveva nuove informazioni: Giovanni C. il suo amico, attuale proprietario di quasi tutti i terreni della zona del Rittano della Madonna, gli aveva fatto sapere di una seconda casa dove erano andati a vivere Attilio e Tersilla, dopo che il primo casotto, in cui erano stati, a titolo gratuito, per tanti anni - quello da noi ritrovato - era stato venduto dai suoi nonni.
L’avventura continuava e così con Nando e Giovanni C. ci ritrovammo domenica 25 marzo.
Giovanni C. è un altro bell’elemento, lui fa il muratore ed è un esperto costruttore di muri in pietra a secco nonché incredibile collezionista di antichità di tutti i tipi. Tra le migliaia di oggetti raccolti mi mostrò con soddisfazione due incredibili cannoncini di ferro che venivano una volta utilizzati per sparare a salve, fare i botti, in tutte le occasioni di festa e perfino per le ciàbre.
A Giovanni, l’ultima casa in cui avevano abitato Tiliu e Tersila, nei suoi lontani ricordi, sembrava potesse stare qualche centinaio di metri più a monte, sugli scoscesi pendii del rittano.
Così girammo in lungo e in largo tutto il pomeriggio per la collina, di rudere in rudere, facendoci largo tra i rovi ed il terribile “brazabòsc”, l’edera che tutto infiltra e copre.
Intanto la voce si era sparsa, ed altri due volontari, padre e figlio vollero far parte del gruppetto, interruppero il lavoro di potatura e si aggiunsero a noi.
La cosa si faceva interessante, ci sentivamo ormai vicini alla meta.
Era un giorno di fine inverno, quando già si sente il tepore della primavera ed i primi fiori dei ciliegi selvatici si agitavano al vento e alla frescura.
Quando scorgemmo improvvisamente, al di là del prato sopra di noi, il retro della casa, avrei proprio giurato fosse lei: mi infilai tra i rovi e riemersi dall’altra parte sul cortiletto prospicente la costruzione in pietra. Sembrava tutto quadrasse, ma specularmente: la porta d’ingresso, la stanza buia, la finestrella illuminata dietro… ma la scala era a destra invece che a sinistra, l’architrave era doppio, di legno inferiormente e sopra di pietra, mancava inoltre la targhetta col numero civico . Il brazabosc era risalito intrecciandosi sui gradini di pietra della scala con un effetto che ricordava le immagini delle rovine dei templi cambogiani invasi dalla foresta…
Lì per lì, per colmare la delusione, mi attraversò il pensiero che la diapositiva di Masera fosse stata stampata al contrario, invertendo la destra con la sinistra, ma era chiaramente una stupidata: sulla foto si leggeva bene, nel verso giusto “Cortemilia” sulla targhetta del numero civico.
Ce ne tornammo a casa un poco sconsolati, io e Nando, ma senza dircelo l’un l’altro. Anzi, Nando, che non demorde mai, mi disse che l’unica possibilità a questo punto sarebbe stata quella di fare ricerche nell’archivio comunale di Cortemilia , chiedendo a qualcuno, che lavorava lì , di accedere alle mappe, conoscendo l’antico numero civico: Cortemilia 3.
Da parte mia m’impegnai con Nando di contattare Aldo Agnelli per chiedergli se, dopo tanti anni, si ricordava dove avesse accompagnato Piero Masera a scattare quella famosa fotografia.
Il tentativo di parlare con Aldo Agnelli, andò a vuoto. Aldo ha ormai 93 anni, la sua salute è malferma, almeno, questo fu il motivo per cui la sua badante mi rifiutò la visita.
Fu mercoledì 19 aprile il giorno del colpo di scena.
Mi trovavo per caso a caccia fotografica, in regione Migliardi, uno posto selvaggio, spettacolare, , su in alto, ai confini di Vesime con Castino. Qui ci si trova in un meraviglioso anfiteatro di prati e vigne, solcato da mura quasi ciclopiche che sorreggono antichissimi terrazzamenti, sferzati dal vento “marìn” e fioriti da centinaia d’ orchidee spontanee.
Ero appena giunto quanto squillò il cellulare, la linea andava e veniva, ma capii subito che Nando m’ annunciava, entusiasta, d’aver ritrovato la casa, sicuramente quella di Attlio e Tersilla!
Da non crederci! Dopo dieci minuti, il tempo di fiondarmi in auto giù, lungo la strettissima stradina, verso Vesime, Nando già mi aspettava nel suo giardino-museo, pieno delle sue fantastiche opere d’arte in pietra.
Altri dieci minuti, forse meno, e già eravamo arrivati.
In auto Nando intanto già mi aveva raccontato del suo sopralluogo mattutino.
Il merito del ritrovamento era stato tutto di Graziano Lagorio, “civic storico” di Cortemilia.
La casa era stata da lui individuata sulle vecchie mappe comunali: l’ultima abitazione di Tiliu e Tersilla era lì, ad un tiro di schioppo dal bivio Cortemilia-Perletto, verso Bormida, tra un gruppo di case completamente nascosto da una impenetrabile vegetazione.
L’emozione tra noi era palpabile e, parcheggiata l’automobile, ci inoltrammo per la stradina che scendeva in basso, verso Bormida.
Tra la foltissima vegetazione dopo un centinaio di metri apparve un gruppetto di case diroccate. Quella a destra era enorme, sembrava una villa, in passato certamente importante ed ora abbandonata, con patio e giardino invaso dalle malepiante e dall’imperante edera. Il rampicante saliva ai piani superiori penetrando nei neri crateri delle finestre, attraverso le quali si notavano le travature crollate del tetto. Dai muri divelti delle cantine , al piano basso, affioravano tini ed enormi botti sfasciate.
A sinistra della villa, tra due pile sbilenche con le fondamenta spostate dalle radici di un cedro, si trovava l’accesso al cortiletto della casa di Attilio e Tersilla. L’uscio divelto col trave sulla porta, la targhetta in alto a destra dell’uscio con la dicitura Cortemilia ma col numero ormai illeggibile.
La stessa casa della foto di Piero Masera.
Tirammo fuori il cellulare per rivedere quella fotografia e confrontarla con ciò che si stava materializzando sotto i nostri occhi.
La scala a sinistra era proprio quella su cui stava seduto, un poco di traverso Tiliu, sul secondo scalino, con baffoni, sguardo di traverso rivolto verso l’obiettivo, cappello, giacca e cagnolino in braccio, appoggiando il gomito sul terzo scalino, quello attraversato da un’incisura curvilinea, ben visibile sulla foto ed adesso anche davanti ai nostri occhi.
Sullo stipite di destra, in piedi stava invece appoggiata Tersilla, con lo sguardo un po’ imbronciato da vecchia Madonna, il foulard sul capo, le due braccia che si tenevano per mano, gonna scura a quadratini, calzettoni e le caratteristiche pantofole da “nona”, di panno con lo zip.
Socchiudendo gli occhi adesso li vedevamo tutti e due ancora lì…
Era così difficile rompere l’incantesimo.
Feci qualche foto, ma mi sentivo quasi incapace, come bloccato, da una situazione e pensieri che non riuscivo a dominare . Nando è alto, ed appoggiato allo stipite dell'uscio, al posto di Tersilla, sembrava un gigante e per passare sotto l'architrave quasi doveva chinare la testa.
Dentro la stanza il caos era indescrivibile: la stufa “a chitàra” rovesciata. Tavolo, sedie, mobili sfasciati, vetri e bottiglie per terra.
Guardammo l’angolo dove Attilo, malato, aveva dormito col caprone, per resuscitare lui sano, dopo tre giorni, ed il caprone morto.
Eravamo arrivati alla fine della storia e stavamo lì fermi ad osservare, quasi increduli, la meta che non ci pareva vero d’aver raggiunto . Stavamo anche noi due , come superstiti sulla soglia di un mondo parallelo.
Conclusione
Non se questa storia abbia per gli altri ,che l’hanno adesso conosciuta, lo stesso significato di ricerca, di affettuoso ritorno al passato che ha avuto per me e Nando.
In un mondo dove il tempo è moneta sonante, le azioni di perditempo come noi, sono guardate appena con sufficienza . Eppure tutte le persone che sono venute a conoscenza di ciò che cercavamo, ne sono state anche loro immediatamente contagiate.
Chissà, forse sono proprio le azioni senza utilità come questa, e che contengono qualche traccia di poetica follia a dare peso all’insensatezza di certe nostre giornate.
Noi siamo uomini di passaggio, la nostra vita corre veloce come il soffio del vento ma lasciamo qualche traccia di noi sulla strada, su un gradino di pietra o sullo stipite di un uscio. I nostri frammenti qualcuno poi magari li troverà, li metterà assieme, come per Attilio e Tersilla, a testimoniare ciò che siamo stati.
Ad Attilio e Tersilla, superstiti sull’uscio.
A Piero Masera ed Aldo Agnelli, con ammirazione ed affetto.
A Nando, mio compagno d’esaltante vagabondaggio: senza di lui ed alla sua determinazione nulla sarebbe accaduto.
A tutti gli amici che ci hanno accompagnato in questa piccola avventura.
A voi che avete voluto leggerci.
Giampiero Murialdo,
Montelupo Albese, maggio 2017
"Superstiti sull'uscio" è una famosa fotografia di Piero Masera degli anni '60. Vi sono ritratti Attilio e Tersilla con il loro cane. Aldo Agnelli aveva conosciuto il pastore Attilio, alla fiera di Cravanzana ed era andato a trovarlo a casa sua, di là da Bormida, sulla strada per Perletto. Aldo Agnelli così racconta "Dopo 4-5 anni ci ho accompagnato Piero: gli ho detto, "vieni, ti faccio conoscere un bel tipo, se è ancora vivo". L'abbiamo trovato sulla porta insieme al cane e Piero gli scattò la fotografia... Appena visto mi ha subito riconosciuto : io gli ho presentato Piero e lui ci ha invitati ad entrare in casa, una stanza buia non ancora raggiunta dall'elettricità, che prendeva luce solo da una piccola finestra quadrata piena di ragnatele, con pavimento e soffitto in legno tutto nero, galline che scappavano da ogni parte, una stufa accesa che faceva anche piacere perché si era appena a fine inverno. Ci siamo seduti lì e gli ho chiesto: "Come và?" Lui mi dice "Quest'inverno non sono stato bene. Credevo di morire. Avevo sempre freddo e mal di testa e le ossa rotte e poi non mangiavo più niente" Allora è intervenuto Piero che, essendo dottore, gli ha chiesto: "Ma non ha chiamato un medico?. Lui si è risentito e gli ha detto: "Ma io il medico non l'ho mai chiamato in tutta la vita. Mi sono sempre curato da solo e ho più di ottant'anni. Ho chiamato mia moglie e le ho detto: "Tersilla, fammi una scodella di brodo caldo e poi mi vai a prendere il caprone nella stalla e me lo porti qui" (E indicò un angolo dove c'era un giaciglio, un sacco di foglie di mais e varie vecchie coperte dello stesso colore delle pareti). Ho fatto coricare il caprone e mi sono coricato vicino a lui. Sono stato due giorni e due notti a dormire vicino al caprone. La terza mattina mi sono svegliato, mi sono alzato e stavo bene, ma il caprone era morto!" (Tratto dal volume Piero Masera, antologia fotografica)
La ricerca
La fotografia di Piero Masera (datata 1964-65, secondo la testimonianza di Aldo Agnelli), da tempo m’incuriosiva. Non so perché guardandola, sentissi, a distanza di più di cinquant’anni, questo lontano irresistibile richiamo. Avvertivo il dovere di trovare a tutti i costi questa casa, quest’uscio superstite.
E così, l’11 febbraio, una domenica pomeriggio partii sulle tracce di Attilio e Tersilla, tra Cortemilia e Perletto. Non so perché avessi la sensazione di poter trovare l’abitazione, a lato della stradina che dalla Pieve e Monteoliveto, si inerpica subito verso l’alto , oltrepassando il Rian d’la Madona, per poi andare verso Perletto. Ma mi sbagliavo. Percorsi circa due chilometri ed incontrai un simpatico ottantenne sull'aia della sua cascina, con un enorme capannone vicino. Nel cortile si agitavano due o tre cani volpini, che non smettevano d’abbaiare tirando ai miei garretti.
Bisognava alzare la voce per sentirci ed il vecchio mi disse che sì, Tiliu e Tersilla li aveva conosciuti , nell’altro secolo, ma che stavano da tutta un’altra parte, in un ciabòt cadente, lungo il rittano, in un posto dove d'inverno non batteva mai il sole. La gente del posto a quei tempi ogni tanto portava loro perfino da mangiare. Erano senza figli e poverissimi: possedevano solo due capre ed il caprone.
A quel punto gli riferii proprio la storia del caprone raccontata da Attilio ai due famosi fotografi.
Il vecchio fece una faccia un po' così, mi fissò e poi ridacchiando : “ Il bèru sarà morto di fame, dopo due giorni senza mangiare... non perché ha preso su di sé la malattia di Tiliu”
Ridemmo forte assieme e ci salutammo con un cenno.
Quel pomeriggio di febbraio la sera ormai calava velocemente ed il grigio della giornata si stava tramutando in un tramonto rosso arancio, insperato, ma che sentivo beneaugurante nonostante il fallimento dell’impresa.
La sera stessa feci rivedere su Facebook, nel gruppo Alta Langa ultima frontiera, la famosa foto “Superstiti sull’uscio” di Piero Masera e molti ed interessati furono i commenti.
Questa volta fu Nando Gallo a rimanere folgorato dall’immagine. Queste le sue parole, il giorno successivo:
“Giampiero, so esattamente dove si trovano i ruderi del ciabot di Tersila, nel rio che termina alla Pieve di Cortemilia. Bisogna risalire a piedi per circa 30-40 minuti zigzagando sul torrente, conviene aspettare almeno un mese poi se vuoi ti posso accompagnare. Da piccolo, dai terreni di mio nonno li sentivo e li potevo anche vedere. I cani abbaiavano sempre, può essere per via della fame. Ho ricordi nettissimi di quella coppia, mi sono sempre chiesto come abbiano potuto vivere cosi a lungo, in un posto del genere, con una capra ed alcune galline.....chiamami se ci vorrai fare un salto.
Altri interventi di conferma furono questi “Ciao Nando io ricordo benissimo Tigliu e Tersila, il venerdì andavano al mercato a Cortemilia, sempre con il loro cane. Arrivavano dal bosco e, passavano dietro casa nostra per recarsi in paese. Al ritorno ripassando rimediavano sempre un piatto di minestra calda con un bicchiere di vino.... ormai era un rituale, arrivavano all' ora di pranzo. Si sedevano fuori nell'aia e consumavano quella minestra fumante, con gli occhi pieni di riconoscenza. Ricordo ancora quello sguardo. Poi ripartivano per il loro ciabòt che era in mezzo al bosco come ben descrivi tu Nando ..... Li chiamavano " lingere" e, ricordo la pelle di Tersila sempre molto unta.... l' acqua per loro era considerata un' optional.... infatti mio papà non voleva che ci avvicinassimo troppo noi bambine. Ho solo visto ora questo post , mi ha suscitato ricordi incredibili e indelebili..... Tutto sommato loro non avrebbero voluto una vita diversa da quella. Erano sempre insieme, non ricordo di averli mai visti separati.
Grazie Giampiero, non sapevo ci fosse una foto ad immortalarli nella loro " casa "
Gabriella Gallo
“Me li ricordo da bambina che qualche volta erano passati a salutare i miei. Mi riferisco a 50 anni fa. E mi ricordo che mio padre mi raccontava che vivevano in un casotto. Tiglio avendo il caprone, chiedeva a chi aveva delle capre, se gliele portava per la fecondazione. Era un modo per racimolare qualche soldo. Dopo diversi anni, ormai vedovo, l ho visto in casa di riposo a Cortemilia “
Franca Turcone
La storia stava prendendo una piega decisamente interessante. Attilio e Tersilla emergevano dai ricordi di molte persone prendendo vita, forma e carattere.
Presi immediatamente contatto con Nando Gallo, che ancora non conoscevo di persona, pur sapendo essere un famoso scultore di pietre d’arenaria di Langa ed il 15 marzo, mercoledì pomeriggio, finalmente c’incontrammo in piazza Savona a Cortemilia. L’incontro fu subito caloroso: Nando è un tipo, alto, muscoloso, allenato e soprattutto molto simpatico. Sentimmo subito che l’essere in due quintuplicava l’entusiasmo di buttarci in questa ricerca. Per lui era stata un’emozione indescrivibile: tutto si sarebbe sognato meno che rivedere su una pagina Facebook, a distanza di tanti anni la foto di Tiliu e Tersila. Il suo passato di bambino ritornava prepotentemente a galla , risentiva profumi, voci, colori e, passando a fianco della grande cascina in cui era venuto alla luce, percepivo fortemente la sua emozione.
Ci dirigemmo al passo atletico di Nando, verso i campi e i boschetti che dominano dall’alto il rittano. Poi in un attimo ci buttammo giù a capofitto seguendo una stradina, presto trasformatasi in traccia, che si calava al torrente. Arrivati su una roccia, Nando si fermò, e m’indicò un punto laggiù, per me improbabile, perché mascherato dai rami delle roverelle.
“Ecco è proprio laggiù il loro ciabòt, non lo intravedi? Venivamo qua, io ed i miei fratelli, e li osservavamo, li sentivamo discutere, certe volte a voce alta, Tiliu e Tersila, lui ogni tanto beveva e Tersilla lo riprendeva…”
La discesa fu ardua. A causa di una frana il sentiero si perdeva nelle tracce dei caprioli e dei cinghiali. Ma al fondo della ripidissima riva, al di là del torrente, i resti di un ciabòt col tetto completamente sfondato, si ergevano ancora.
Ci girammo attorno, entrammo dentro ma non c’erano né tracce della scala esterna, né del numero civico, né dell’intonaco… Fu quasi subito evidente che non si trattava della casa fotografata da Masera.
La delusione tra di noi si percepiva ma eravamo ancor troppo eccitati – la discesa era stata abbastanza pericolosa – per arrenderci.
Con Nando ci risentimmo per telefono qualche giorno dopo: aveva nuove informazioni: Giovanni C. il suo amico, attuale proprietario di quasi tutti i terreni della zona del Rittano della Madonna, gli aveva fatto sapere di una seconda casa dove erano andati a vivere Attilio e Tersilla, dopo che il primo casotto, in cui erano stati, a titolo gratuito, per tanti anni - quello da noi ritrovato - era stato venduto dai suoi nonni.
L’avventura continuava e così con Nando e Giovanni C. ci ritrovammo domenica 25 marzo.
Giovanni C. è un altro bell’elemento, lui fa il muratore ed è un esperto costruttore di muri in pietra a secco nonché incredibile collezionista di antichità di tutti i tipi. Tra le migliaia di oggetti raccolti mi mostrò con soddisfazione due incredibili cannoncini di ferro che venivano una volta utilizzati per sparare a salve, fare i botti, in tutte le occasioni di festa e perfino per le ciàbre.
A Giovanni, l’ultima casa in cui avevano abitato Tiliu e Tersila, nei suoi lontani ricordi, sembrava potesse stare qualche centinaio di metri più a monte, sugli scoscesi pendii del rittano.
Così girammo in lungo e in largo tutto il pomeriggio per la collina, di rudere in rudere, facendoci largo tra i rovi ed il terribile “brazabòsc”, l’edera che tutto infiltra e copre.
Intanto la voce si era sparsa, ed altri due volontari, padre e figlio vollero far parte del gruppetto, interruppero il lavoro di potatura e si aggiunsero a noi.
La cosa si faceva interessante, ci sentivamo ormai vicini alla meta.
Era un giorno di fine inverno, quando già si sente il tepore della primavera ed i primi fiori dei ciliegi selvatici si agitavano al vento e alla frescura.
Quando scorgemmo improvvisamente, al di là del prato sopra di noi, il retro della casa, avrei proprio giurato fosse lei: mi infilai tra i rovi e riemersi dall’altra parte sul cortiletto prospicente la costruzione in pietra. Sembrava tutto quadrasse, ma specularmente: la porta d’ingresso, la stanza buia, la finestrella illuminata dietro… ma la scala era a destra invece che a sinistra, l’architrave era doppio, di legno inferiormente e sopra di pietra, mancava inoltre la targhetta col numero civico . Il brazabosc era risalito intrecciandosi sui gradini di pietra della scala con un effetto che ricordava le immagini delle rovine dei templi cambogiani invasi dalla foresta…
Lì per lì, per colmare la delusione, mi attraversò il pensiero che la diapositiva di Masera fosse stata stampata al contrario, invertendo la destra con la sinistra, ma era chiaramente una stupidata: sulla foto si leggeva bene, nel verso giusto “Cortemilia” sulla targhetta del numero civico.
Ce ne tornammo a casa un poco sconsolati, io e Nando, ma senza dircelo l’un l’altro. Anzi, Nando, che non demorde mai, mi disse che l’unica possibilità a questo punto sarebbe stata quella di fare ricerche nell’archivio comunale di Cortemilia , chiedendo a qualcuno, che lavorava lì , di accedere alle mappe, conoscendo l’antico numero civico: Cortemilia 3.
Da parte mia m’impegnai con Nando di contattare Aldo Agnelli per chiedergli se, dopo tanti anni, si ricordava dove avesse accompagnato Piero Masera a scattare quella famosa fotografia.
Il tentativo di parlare con Aldo Agnelli, andò a vuoto. Aldo ha ormai 93 anni, la sua salute è malferma, almeno, questo fu il motivo per cui la sua badante mi rifiutò la visita.
Fu mercoledì 19 aprile il giorno del colpo di scena.
Mi trovavo per caso a caccia fotografica, in regione Migliardi, uno posto selvaggio, spettacolare, , su in alto, ai confini di Vesime con Castino. Qui ci si trova in un meraviglioso anfiteatro di prati e vigne, solcato da mura quasi ciclopiche che sorreggono antichissimi terrazzamenti, sferzati dal vento “marìn” e fioriti da centinaia d’ orchidee spontanee.
Ero appena giunto quanto squillò il cellulare, la linea andava e veniva, ma capii subito che Nando m’ annunciava, entusiasta, d’aver ritrovato la casa, sicuramente quella di Attlio e Tersilla!
Da non crederci! Dopo dieci minuti, il tempo di fiondarmi in auto giù, lungo la strettissima stradina, verso Vesime, Nando già mi aspettava nel suo giardino-museo, pieno delle sue fantastiche opere d’arte in pietra.
Altri dieci minuti, forse meno, e già eravamo arrivati.
In auto Nando intanto già mi aveva raccontato del suo sopralluogo mattutino.
Il merito del ritrovamento era stato tutto di Graziano Lagorio, “civic storico” di Cortemilia.
La casa era stata da lui individuata sulle vecchie mappe comunali: l’ultima abitazione di Tiliu e Tersilla era lì, ad un tiro di schioppo dal bivio Cortemilia-Perletto, verso Bormida, tra un gruppo di case completamente nascosto da una impenetrabile vegetazione.
L’emozione tra noi era palpabile e, parcheggiata l’automobile, ci inoltrammo per la stradina che scendeva in basso, verso Bormida.
Tra la foltissima vegetazione dopo un centinaio di metri apparve un gruppetto di case diroccate. Quella a destra era enorme, sembrava una villa, in passato certamente importante ed ora abbandonata, con patio e giardino invaso dalle malepiante e dall’imperante edera. Il rampicante saliva ai piani superiori penetrando nei neri crateri delle finestre, attraverso le quali si notavano le travature crollate del tetto. Dai muri divelti delle cantine , al piano basso, affioravano tini ed enormi botti sfasciate.
A sinistra della villa, tra due pile sbilenche con le fondamenta spostate dalle radici di un cedro, si trovava l’accesso al cortiletto della casa di Attilio e Tersilla. L’uscio divelto col trave sulla porta, la targhetta in alto a destra dell’uscio con la dicitura Cortemilia ma col numero ormai illeggibile.
La stessa casa della foto di Piero Masera.
Tirammo fuori il cellulare per rivedere quella fotografia e confrontarla con ciò che si stava materializzando sotto i nostri occhi.
La scala a sinistra era proprio quella su cui stava seduto, un poco di traverso Tiliu, sul secondo scalino, con baffoni, sguardo di traverso rivolto verso l’obiettivo, cappello, giacca e cagnolino in braccio, appoggiando il gomito sul terzo scalino, quello attraversato da un’incisura curvilinea, ben visibile sulla foto ed adesso anche davanti ai nostri occhi.
Sullo stipite di destra, in piedi stava invece appoggiata Tersilla, con lo sguardo un po’ imbronciato da vecchia Madonna, il foulard sul capo, le due braccia che si tenevano per mano, gonna scura a quadratini, calzettoni e le caratteristiche pantofole da “nona”, di panno con lo zip.
Socchiudendo gli occhi adesso li vedevamo tutti e due ancora lì…
Era così difficile rompere l’incantesimo.
Feci qualche foto, ma mi sentivo quasi incapace, come bloccato, da una situazione e pensieri che non riuscivo a dominare . Nando è alto, ed appoggiato allo stipite dell'uscio, al posto di Tersilla, sembrava un gigante e per passare sotto l'architrave quasi doveva chinare la testa.
Dentro la stanza il caos era indescrivibile: la stufa “a chitàra” rovesciata. Tavolo, sedie, mobili sfasciati, vetri e bottiglie per terra.
Guardammo l’angolo dove Attilo, malato, aveva dormito col caprone, per resuscitare lui sano, dopo tre giorni, ed il caprone morto.
Eravamo arrivati alla fine della storia e stavamo lì fermi ad osservare, quasi increduli, la meta che non ci pareva vero d’aver raggiunto . Stavamo anche noi due , come superstiti sulla soglia di un mondo parallelo.
Conclusione
Non se questa storia abbia per gli altri ,che l’hanno adesso conosciuta, lo stesso significato di ricerca, di affettuoso ritorno al passato che ha avuto per me e Nando.
In un mondo dove il tempo è moneta sonante, le azioni di perditempo come noi, sono guardate appena con sufficienza . Eppure tutte le persone che sono venute a conoscenza di ciò che cercavamo, ne sono state anche loro immediatamente contagiate.
Chissà, forse sono proprio le azioni senza utilità come questa, e che contengono qualche traccia di poetica follia a dare peso all’insensatezza di certe nostre giornate.
Noi siamo uomini di passaggio, la nostra vita corre veloce come il soffio del vento ma lasciamo qualche traccia di noi sulla strada, su un gradino di pietra o sullo stipite di un uscio. I nostri frammenti qualcuno poi magari li troverà, li metterà assieme, come per Attilio e Tersilla, a testimoniare ciò che siamo stati.
Ad Attilio e Tersilla, superstiti sull’uscio.
A Piero Masera ed Aldo Agnelli, con ammirazione ed affetto.
A Nando, mio compagno d’esaltante vagabondaggio: senza di lui ed alla sua determinazione nulla sarebbe accaduto.
A tutti gli amici che ci hanno accompagnato in questa piccola avventura.
A voi che avete voluto leggerci.
Giampiero Murialdo,
Montelupo Albese, maggio 2017