La piccola scuola di baratta di Maria maddalena moschetti
Nel 1948 , a ottobre, dopo aver superato il concorso magistrale, scelsi come sede definitiva la frazione di Baratta del comune di Cravanzana, ma poco distante da Feisoglio e rimasi lì per dieci anni.
Non scelsi il capoluogo perché mi era stato riferito che Cravanzana era un paese rissoso i cui abitanti erano spesso in lite fra di loro. Dopo gli anni di guerra io avevo voglia di tranquillità personale e di pace.
L’aula era in una casa privata e la camera per l’insegnante era situata sopra l’aula. Era una scuola pluriclasse cioè comprendeva tutte le cinque classi delle Elementari per un totale di alunni dai 18 ai 25, a seconda degli anni e distribuiti pochi per classe. Era un insegnamento faticoso ma con una buona preparazione dei programmi giornalieri riuscivo a far funzionare bene (senza presunzioni) la mia scuoletta. I rapporti con le famiglie erano ottimi e tutti collaboravano per il buon funzionamento della scuola.
Sono stati anni ricchi di soddisfazioni sul lavoro, ben inserita nell’ambiente rurale che io conoscevo molto bene, affiatata con la gioventù, con i genitori, con gli anziani. Mi sentivo capita e protetta.
Rimasi a Baratta cinque anni come “single” e per cinque anni come coniugata.
La vita a Baratta scorreva nella semplicità. Semplici e povere erano le abitazioni, semplice e povero era l’abbigliamento, così come tutto il resto.
Vivevo in una sola camera che conteneva l’essenziale e che io ho cercato di abbellire alla meno peggio. Sotto questa camera, al pianterreno, c’era l’aula scolastica.
Al mattino, il primo alunno che arrivava accendeva la stufa (se era inverno) e riordinava se qualcosa era fuori posto.
Gli alunni erano per lo più ragazzi con una buona intelligenza ma non mancavano neppure casi intellettualmente limitati. Nelle famiglie, buone, laboriose, attive, non avevano stimoli se non per quanto riguardava le attività manuali e pratiche.
Però a Baratta trovai un mondo contadino sano, capace di ricevere e assimilare ciò che di nuovo stava nascendo nel dopoguerra.
Mi inserii in modo ottimale in quel mondo acquistando la fiducia di tutti.
Ricevevo confidenze, erano richiesti i miei consigli un po’ in tutti i campi.
Redassi testamenti, domande di lavoro, lettere d’amore… rispondendo alle richieste più svariate. Sapevo capirli e mantenere i segreti che mi confidavano sia i vecchi che i giovani. Ogni casa era considerata un po’ la mia casa.
I primi tre o quattro anni trascorsero tranquilli, ma poi sorse un grosso problema.
La scuola e la camera per l’insegnante erano situate in una casa privata ed il padrone dell’edificio, volendo metter su famiglia, sposarsi, chiedeva al Comune di lasciare libere le camere adibite a scuola. Nella frazione non esistevano camere libere e quindi non era possibile provvedere altrimenti. Io continuavo a lavorare lì ma i padroni cominciavano, con rumori e suoni, a disturbare il normale svolgimento delle lezioni.
Quando poi nella casa giunse “la sposa”, la scuola venne sabotata alla grande.
Volevano avere libere le camere da noi occupate e, forse, ne avevano la necessità.
Ma da un inconveniente così grave, ne venne un bene… i frazionisti decisero di costruire, a loro spese, un edificio scolastico.
E allora tutti si rimboccarono le maniche ed ebbero inizio i lavori. Si scelse il sito, venne regalato il terreno, le famiglie si tassarono, offrirono la mano d’opera.
Il Comune era povero e contribuì alle spese offrendo di provvedere alle porte e alle finestre.
Tutto il resto venne fatto con il lavoro e la buona volontà di tutti. Piuttosto di perdere la scuola e mandare i figli nei paesi vicini, Feisoglio e Cravanzana, in breve fecero sorgere l’edificio.
Noi, insegnante e giovani del posto, organizzammo una filodrammatica. Alla sera, dopo una giornata di lavoro, ci trovavamo tutti presso una famiglia a “provare” le nostre rappresentazioni. Fu un’esperienza fantastica. Giovanotti e signorine che non avevano mia più letto una pagina dal tempo delle elementari si misero a studiare con impegno le loro parti della commedia che intendevano rappresentare. Ma il più bello, per me, era vedere come ognuno di loro si immedesimasse nel proprio personaggio e riuscisse ad essere un vero attore! E poi le risate che facevamo assieme e che momento di aggregazione per i giovani!
Al momento della rappresentazione erano tutti euforici. Nessuno di loro aveva mai messo piede in un teatro eppure riuscirono a preparare “la sala” per la rappresentazione in una rimessa di una casa in costruzione. Il locale venne addobbato in modo fantastico, costruito un bel palco e sistemate le panche.
Per me fu parecchio faticoso guidare tali “attori” ma il risultato ottenuto ricambiò abbondantemente “attori e regista”. Vennero ad assistere allo spettacolo anche giovani e signorine dai paesi vicini e l’incasso fu ottimo tra applausi scroscianti.
Dopo un’esperienza così gratificante la commedia venne dapprima ripetuta più volte e poi ne preparammo altre.
Naturalmente gli incassi servivano per finanziare la costruzione della scuoletta che richiedava sempre più soldi.
In occasione della Fiera di Cravanzana preparammo anche un Banco di Beneficenza che fruttò pure un bel gruzzoletto.
Le esperienze di questo tipo vennero ripetute fino a quando la Scuola fu ultimata.
Bisognava vedere con quanto entusiasmo giovani e vecchi offrivano mano d’opera e denaro, secondo le proprie possibilità!
Era una nostra creatura ed ognuno, a suo modo, l’amava. L’edificio cresceva. Dopo l’aula, grande e luminosa, ecco il primo piano per l’alloggio dell’insegnante: due camere bianche e belle, anche se piccole, con un cucinino.
Quando i muratori dovettero piazzare il lavandino mi chiamarono per vedere a quale altezza lo dovessero fissare, perché fosse più comodo per me. Feci notare che io ero piccola di statura e se andava bene a me, poteva andare bene all’insegnante che sarebbe venuta dopo.
Mi dissero che a loro interessava solamente che fosse comodo per me perché io sarei sempre rimasta con loro.
Rimasi ancora cinque anni ...
MARIA MADDALENA MOSCHETTI
(1922-2013)
Non scelsi il capoluogo perché mi era stato riferito che Cravanzana era un paese rissoso i cui abitanti erano spesso in lite fra di loro. Dopo gli anni di guerra io avevo voglia di tranquillità personale e di pace.
L’aula era in una casa privata e la camera per l’insegnante era situata sopra l’aula. Era una scuola pluriclasse cioè comprendeva tutte le cinque classi delle Elementari per un totale di alunni dai 18 ai 25, a seconda degli anni e distribuiti pochi per classe. Era un insegnamento faticoso ma con una buona preparazione dei programmi giornalieri riuscivo a far funzionare bene (senza presunzioni) la mia scuoletta. I rapporti con le famiglie erano ottimi e tutti collaboravano per il buon funzionamento della scuola.
Sono stati anni ricchi di soddisfazioni sul lavoro, ben inserita nell’ambiente rurale che io conoscevo molto bene, affiatata con la gioventù, con i genitori, con gli anziani. Mi sentivo capita e protetta.
Rimasi a Baratta cinque anni come “single” e per cinque anni come coniugata.
La vita a Baratta scorreva nella semplicità. Semplici e povere erano le abitazioni, semplice e povero era l’abbigliamento, così come tutto il resto.
Vivevo in una sola camera che conteneva l’essenziale e che io ho cercato di abbellire alla meno peggio. Sotto questa camera, al pianterreno, c’era l’aula scolastica.
Al mattino, il primo alunno che arrivava accendeva la stufa (se era inverno) e riordinava se qualcosa era fuori posto.
Gli alunni erano per lo più ragazzi con una buona intelligenza ma non mancavano neppure casi intellettualmente limitati. Nelle famiglie, buone, laboriose, attive, non avevano stimoli se non per quanto riguardava le attività manuali e pratiche.
Però a Baratta trovai un mondo contadino sano, capace di ricevere e assimilare ciò che di nuovo stava nascendo nel dopoguerra.
Mi inserii in modo ottimale in quel mondo acquistando la fiducia di tutti.
Ricevevo confidenze, erano richiesti i miei consigli un po’ in tutti i campi.
Redassi testamenti, domande di lavoro, lettere d’amore… rispondendo alle richieste più svariate. Sapevo capirli e mantenere i segreti che mi confidavano sia i vecchi che i giovani. Ogni casa era considerata un po’ la mia casa.
I primi tre o quattro anni trascorsero tranquilli, ma poi sorse un grosso problema.
La scuola e la camera per l’insegnante erano situate in una casa privata ed il padrone dell’edificio, volendo metter su famiglia, sposarsi, chiedeva al Comune di lasciare libere le camere adibite a scuola. Nella frazione non esistevano camere libere e quindi non era possibile provvedere altrimenti. Io continuavo a lavorare lì ma i padroni cominciavano, con rumori e suoni, a disturbare il normale svolgimento delle lezioni.
Quando poi nella casa giunse “la sposa”, la scuola venne sabotata alla grande.
Volevano avere libere le camere da noi occupate e, forse, ne avevano la necessità.
Ma da un inconveniente così grave, ne venne un bene… i frazionisti decisero di costruire, a loro spese, un edificio scolastico.
E allora tutti si rimboccarono le maniche ed ebbero inizio i lavori. Si scelse il sito, venne regalato il terreno, le famiglie si tassarono, offrirono la mano d’opera.
Il Comune era povero e contribuì alle spese offrendo di provvedere alle porte e alle finestre.
Tutto il resto venne fatto con il lavoro e la buona volontà di tutti. Piuttosto di perdere la scuola e mandare i figli nei paesi vicini, Feisoglio e Cravanzana, in breve fecero sorgere l’edificio.
Noi, insegnante e giovani del posto, organizzammo una filodrammatica. Alla sera, dopo una giornata di lavoro, ci trovavamo tutti presso una famiglia a “provare” le nostre rappresentazioni. Fu un’esperienza fantastica. Giovanotti e signorine che non avevano mia più letto una pagina dal tempo delle elementari si misero a studiare con impegno le loro parti della commedia che intendevano rappresentare. Ma il più bello, per me, era vedere come ognuno di loro si immedesimasse nel proprio personaggio e riuscisse ad essere un vero attore! E poi le risate che facevamo assieme e che momento di aggregazione per i giovani!
Al momento della rappresentazione erano tutti euforici. Nessuno di loro aveva mai messo piede in un teatro eppure riuscirono a preparare “la sala” per la rappresentazione in una rimessa di una casa in costruzione. Il locale venne addobbato in modo fantastico, costruito un bel palco e sistemate le panche.
Per me fu parecchio faticoso guidare tali “attori” ma il risultato ottenuto ricambiò abbondantemente “attori e regista”. Vennero ad assistere allo spettacolo anche giovani e signorine dai paesi vicini e l’incasso fu ottimo tra applausi scroscianti.
Dopo un’esperienza così gratificante la commedia venne dapprima ripetuta più volte e poi ne preparammo altre.
Naturalmente gli incassi servivano per finanziare la costruzione della scuoletta che richiedava sempre più soldi.
In occasione della Fiera di Cravanzana preparammo anche un Banco di Beneficenza che fruttò pure un bel gruzzoletto.
Le esperienze di questo tipo vennero ripetute fino a quando la Scuola fu ultimata.
Bisognava vedere con quanto entusiasmo giovani e vecchi offrivano mano d’opera e denaro, secondo le proprie possibilità!
Era una nostra creatura ed ognuno, a suo modo, l’amava. L’edificio cresceva. Dopo l’aula, grande e luminosa, ecco il primo piano per l’alloggio dell’insegnante: due camere bianche e belle, anche se piccole, con un cucinino.
Quando i muratori dovettero piazzare il lavandino mi chiamarono per vedere a quale altezza lo dovessero fissare, perché fosse più comodo per me. Feci notare che io ero piccola di statura e se andava bene a me, poteva andare bene all’insegnante che sarebbe venuta dopo.
Mi dissero che a loro interessava solamente che fosse comodo per me perché io sarei sempre rimasta con loro.
Rimasi ancora cinque anni ...
MARIA MADDALENA MOSCHETTI
(1922-2013)